Bosatelli, il Gigante della montagna

Ultra trail. Il vigile del fuoco bergamasco ha vinto il mitico Tor des Geants: 330 km con dislivello di 24.000 metri
Un’impresa di 75 ore: «Un viaggio spettacolare, ho provato a fare tutta la gara senza dormire e ci sono riuscito»

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Data pubblicazione: 

15/09/2016
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Trecentotrenta chilometri a piedi sui sentieri del Parco Nazionale del Gran Paradiso, con 24.000 metri di salita da affrontare: è il Tor des Geants, mitico ultra trail che quest’anno è stato dominato dal bergamasco Oliviero Bosatelli, primo dopo una gara di 75 ore senza dormire in cui ha staccato di sei ore il secondo classificato.
impegnato durante il Tor des Geants che ha vinto dominando
L’arrivo trionfale di Oliviero Bosatelli: il gigante del Tor des Geants è lui

Il Re dei Giganti, quest’anno, viene da Bergamo. Dalla Valle Seriana, da Gandino, dalle sue, dalle nostre Orobie. È Oliviero Bosatelli, 47 anni, vincitore del Tor des Geants.
Ieri, quando alle 13,10 e dopo poco più di 75 ore di gara ha tagliato il traguardo di Courmayeur, tutta Bergamo era con lui. Tutti incollati al pc o allo smartphone per vedere il live dell’arrivo del vigile del fuoco bergamasco, trionfatore con sei ore di vantaggio sul primo degli inseguitori. A fare da cornice al suo arrivo ci sono gli striscioni e quel cartellone giallo fluorescente su cui, al volto di Braccio di Ferro, è stato sostituito il suo, quello del «Bosa». Ad attenderlo la moglie Nadia, che lo ha supportato ad ogni punto di ristoro, fino alla vittoria.
All’ultima curva il pubblico lo acclama, lo speaker ripete il nome del nuovo Gigante. Bosatelli ormai giunto al traguardo si gira e fa una corsetta indietro, per battere il cinque a qualcuno in zona transenne. Poi si rigira e taglia il traguardo, con un salto, esattamente come era accaduto sul palco di Orobie Ultra Trail a fine luglio. Anche lì vincitore con le molle sotto ai piedi. Per Bosatelli un sogno lungo tre giorni: da domenica, giorno della partenza, fino a ieri. 330 chilometri, 24.000 metri di dislivello positivo, 75 ore e dieci minuti per attraversare tutta la Valle d’Aosta. Praticamente senza dormire , facendo soste minime (la più lunga è durata meno di mezz’ora) per alimentarsi. Un motore eccezionale.
E pensare che fino a un anno fa, cioè fino all’edizione 2015 di Out (nella quale si era classificato secondo alle spalle di Marco Zanchi) nessuno sapeva chi fosse. Un ottimo maratoneta, certamente, ma non un campione dell’Ultratrail. Lui, che quando arriva sul podio pare quasi in imbarazzo, non certo abituato a fare la star, ma ha saputo lasciarsi tutti alle spalle. Lui che al rifugio Bertone, l’ultimo a poca distanza dall’arrivo, si è fermato a mangiare un piatto di risotto. Quel piatto di riso, preso perché tanto il secondo era ormai troppo distante per raggiungerlo, è stato come il sorriso di Bolt alle Olimpiadi. Il sorriso di chi sa perfettamente di avere la vittoria in pugno.
E poi, a tre ore circa dal termine della gara, quando lo immagini già disteso nel letto e immerso in un sonno ristoratore, arriva la sua chiamata. La voce è fresca, pimpante, quella di sempre. E ovviamente felice, molto felice, perché vincere il Tor «non è una cosa che accade tutti i giorni (e neppure a tutti, ndr)». «Un viaggio spettacolare – sono le sue parole – e soprattutto un tifo grandioso, per una gara che è davvero molto sentita. Ancora non realizzo bene l’accaduto ma sono qua, ho risposto a tutte le domande dei giornalisti, mi sono fatto fare un massaggio nel quale credo di essermi addormentato 5 minuti, per poi risvegliarmi di colpo. Ancora non riesco a dormire, sono qua con amici e voglio godermi questi momenti, ma credo che appena toccherò il letto dormirò.
Quello di non dormire durante la gara è stato un esperimento, ci ho provato e ci sono riuscito. Ricordo le notti, la luna quasi piena, il silenzio. Sono stato sempre presente con la testa. A momenti arrivava un po’ di sensazione di debolezza, ma poi mangiavo e passava. Mi sono alimentato sempre bene: pasta, riso, panino con prosciutto e maionese, gelato, macedonia, birra. Niente barrette, niente di niente. Un paio di gel, quando avevo terminato tutto. Sono arrivato e sono arrivato con le mie gambe. Non lo speravo, era la prima volta. Ci ho creduto solamente quando ho tagliato il traguardo».
Oliviero, che fino ad oggi aveva coperto una distanza massima di 180 chilometri (Adamello Ultra Trail), ora sa che può fare tutto. Ma, conoscendolo, pensa ancora di non aver fatto nulla di che. Conoscendolo lo troveremo ancora sulle nostre montagne, a «darci lezione» di dedizione, fatica e sofferenza. Come lo troveremo a bersi una birra post allenamento. Solo che da questo momento, quando lo vedremo, diremo: «Lui è il Bosa, quello che ha vinto il Tor».

I complimenti di Zanchi «Fisico e testa eccezionali»
«Quando arrivi ti crolla addosso tutto, neanche ti fossi schiantato contro ad un camion». Così Marco Zanchi, atleta nella top ten mondiale, sesto all’edizione 2013, racconta il Tor. «Oliviero è stato un grande. Glielo avevo detto, qualche giorno fa e prima di partire, che aveva i numeri per puntare alla vittoria. L’ho seguito sul “live” e ho notato che è sempre stato molto costante e regolare, per l’intera gara. E poi è riuscito a non fermarsi per dormire e queste due cose lo hanno portato dritto dritto alla vittoria. Il Tor è una gara durissima e lunghissima. Una gara contro gli altri solo per la prima metà, poi diventa una gara contro il sonno e contro gli occhi che non stanno più aperti».
Marco ci ha raccontato anche delle allucinazioni che si possono provare durante questo viaggio, causate dalla stanchezza e dalla mancanza di sonno. «Io, ad esempio, ho visto davvero, ad un certo punto, gli alberi muoversi e inseguirmi. C’è gente, tra quelli che arrivano dopo le 100 ore, che vede i mostri e chi si ritrova alle basi vita scalzo, dicendo di aver perso le scarpe! Storie da Tor: la stanchezza gioca brutti scherzi e per contrastarla, come ha fatto Oliviero, devi avere un fisico (e una testa) eccezionali ». (T. B.)

Autore: 

Tatiana Bertera Manzoni

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