Di padre in figlio, i custodi della raggiera

Una settimana per costruirla, non ci sono manuali. «Tradizione di fede da tramandare»

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07/03/2009
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Il gruppo dei volontari davanti alla raggiera nella basilica di Gandino

«Tic, tuc tac l'è 'mpezz la ragia». È un modo di dire molto diffuso a Gandino, quello che sottolinea la simultanea accensione di luci e candele dell'apparato della raggiera del Sacro Triduo dei morti, che si svolge in basilica da oggi a lunedì. Molto più arduo chiamare «immediato» il montaggio dell'apparato ligneo realizzato alla fine del Settecento dalla bottega di Giambattista Caniana, visto che l'operazione richiede all'incirca una settimana di lavoro e l'impegno di una squadra di volontari.
«Fino agli Anni Cinquanta - spiega il sacrista Mario Bosio che coordina i lavori - la parrocchia costituiva di anno in anno una squadra retribuita di montatori che lavoravano soprattutto nelle ore serali, sotto la direzione del parroco e del sacrista. Poi l'indimenticato monsignor Giovanni Maconi patrocinò la costruzione della chiesina di Valpiana e, all'interno del gruppo di volontari attivatisi per l'occasione, nacque l'idea e l'impegno di realizzare annualmente in basilica l'imponente apparato del Triduo».
Erano gli anni del boom, dove al tumultuoso sviluppo industriale della valle si affiancava una socialità entusiasta e fraterna. Fra i «giovani di Valpiana» c'erano fra gli altri Angelo Torri, Francesco Ongaro, Antonio Bertocchi, Andrea e Giacomo Savoldelli, Giovanni Nodari. Tra i più assidui anche Andrea Moro, Pio Bertocchi e Francesco Canali: oggi i loro figli Angelo, Alberto e Angelo continuano l'opera di «raggieri» in una sorta di staffetta ereditaria.
«Non si tratta di una tradizione fine a se stessa - spiega Angelo Moro, che è anche capogruppo degli Alpini -, ma di un insieme di valori di fede fattiva che i nostri genitori ci hanno trasmesso e che avvertiamo come dovere morale. Per completare il montaggio a volte sono necessari piccoli accorgimenti per ben posizionare un "rampì" o mettere in giusta successione i raggi numerati a mano: sono le cose che più di altre ci ricordano quanti ci hanno preceduto».
«I piccoli segreti del montaggio - aggiunge Alberto Bertocchi - si tramandano attraverso la tradizione orale e la pratica, non esiste un manuale di montaggio. La struttura si eleva per oltre 12 metri dietro l'altare maggiore, ci sono ben 35 gradini da salire per posizionare il Santissimo al centro della raggiera, un percorso che per quasi settant'anni, fino all'inizio di questo secolo, è stato compiuto da monsignor Francesco Ghilardi».
La raggiera per Gandino è motivo di vanto, tanto che nel Settecento l'apparato del Triduo fu commissionato, pagato e rifatto per ben due volte. Quello attuale è caratterizzato dalla grande raggiera (del diametro di cinque metri) a quattro cerchi sovrapposti che viene fissata sopra l'altare maggiore, e dalle piramidi. A far da sfondo, il grande drappo cremisi. Sulle piramidi, 116 candele, mentre nei raggi della raggiera vi sono occhi con vetri policromi ora illuminati da lampadine (un tempo lumini) con l'effetto dei colori dell'iride, secondo la descrizione dantesca della visione di Dio.
Un primo apparato del Triduo era stato invece commissionato a Donato Fantoni nel 1777: questo fu realizzato secondo il disegno conservato nell'archivio Fantoni di Rovetta e pagato nel 1779 oltre 900 lire, una somma molto elevata, anche se ai Caniana ne furono date addirittura 1.514. Dell'opera fantoniana non si ha più notizia: potrebbe essere andata dispersa, oppure (considerando l'elevato valore pagato) recuperata ad altro uso o ceduta a un'altra parrocchia. Ipotesi che comunque non hanno trovato riscontri d'archivio.

 

Autore: 

Giambattista Gherardi

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