Museo virtuale: in un clic 250 mila oggetti sacri

Accessibile a tutti il patrimonio delle chiese bergamasche. Dopo sette anni conclusa la catalogazione

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Data pubblicazione: 

24/02/2004
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"Presentazione al tempio" arazzo del Museo della Basilica di Gandino, prodotto a Bruxelles nel 1580

"Presentazione al tempio" arazzo del Museo della Basilica di Gandino, prodotto a Bruxelles nel 1580

Gian Paolo Cavagna, "Santa Grata raccoglie il capo di Sant'Alessandro" del 1620, Basilica di S. Alessandro in colonna

Gian Paolo Cavagna, "Santa Grata raccoglie il capo di Sant'Alessandro" del 1620, Basilica di S. Alessandro in colonna

"Pietà di S. Maria Maddalena" (1533) di anonimo, conservato a Nembro nel santuario dello Zuccarello

"Pietà di S. Maria Maddalena" (1533) di anonimo, conservato a Nembro nel santuario dello Zuccarello

Croci, ostensori, reliquiari, piviali, pianete, confessionali, pulpiti e via artisticamente discorrendo sul versante dei tesori sacri: grazie a una catalogazione certosina, oltre 250 mila opere tornano a parlare. Raccontano di committenti generosi, di tecniche artistiche dimenticate, di messaggi di fede trasmessi nei modi dell'arte. Sette anni di lavoro e 27 esperti tra fotografi, storici dell'arte, elaboratori di immagini, schedatori, hanno reso possibile una mappatura di tutti i beni della Diocesi di Bergamo.
Che siano dipinti, sculture, arredi lignei o suppellettili, a chi voglia interrogarli rivelano provenienza, autore, epoca, collocazione e stato di conservazione, oltre, naturalmente, a dettagli e informazioni sulle loro caratteristiche. «Un archivio informatizzato – spiega don Lucio Carminati, delegato vescovile per i beni culturali, che ha coordinato il lavoro – di grande rilevanza sotto il profilo storico-artistico e pastorale: scorrendo le immagini si può capire meglio un patrimonio di arte, cultura e fede che ha attraversato il tempo».
Per restituire la voce della storia e della spiritualità ai tesori dell'arte sacra, la diocesi di Bergamo ha risposto all'invito della Cei. Parola d'ordine: tutelare il patrimonio. Tradotto in numeri, l'impegno ha comportato una spesa complessiva di quattro milioni di euro, di cui un terzo a carico delle parrocchie sulla base degli oggetti posseduti.
«La nostra diocesi – prosegue don Lucio – è stata la prima in Italia a iniziare l'inventariazione delle opere distribuite nelle 389 parrocchie del territorio». Era il 1996. «La conservazione e tutela di un patrimonio tanto ricco – precisa don Lucio – richiede grandi sforzi, anche sotto il profilo economico. Per questo dobbiamo esprimere gratitudine verso i parroci che hanno saputo comprendere il significato dell'iniziativa per la valorizzazione di beni tanto preziosi sul doppio versante dell'arte e della tradizione di fede». Ogni scheda è corredata da una o più immagini digitali che consentono di (ri)scoprire l'oggetto inventariato e di esplorare il territorio sulle tracce dei suoi tesori. Una mole di informazioni accessibile a diversi livelli grazie all'accordo stipulato con la Provincia per l'immissione della banca dati su Internet.
«Basta percorrere il territorio bergamasco – sottolinea l'assessore provinciale alla Cultura Tecla Rondi – per rimanere sorpresi dalla qualità e quantità delle testimonianze artistiche e culturali presenti». Ma siccome i bergamaschi non sono sempre consapevoli delle loro ricchezze anche la navigazione telematica può essere d'aiuto: «Attraverso Internet studenti, ricercatori, biblioteche o semplicemente persone curiose di conoscere la terra orobica possono accedere a un patrimonio straordinario». Tradotto in vecchie lire, l'impegno della Provincia si è concretizzato in 550 milioni, a cui se ne sono aggiunti altri 40 provenienti dalla Regione Lombardia per l'hardware.
Basta un clic e dalla scrivania di casa si apre una finestra sulle migliaia di opere disseminate nelle chiese. Lo sterminato inventario è accessibile dal sito Internet della Provincia (www.provincia.bergamo.it): tra i servizi on line si clicca su «Beni culturali» e si accede al sito web dei beni culturali della provincia e della diocesi di Bergamo. Un programma automatico guida i navigatori nella ricerca: basta inserire l'epoca o il tipo di oggetto e il sito fornisce in tempo reale le risposte desiderate. La banca dati è interrogabile secondo diverse chiavi di lettura, capace di svelare dati nuovi.
È successo con alcuni inediti di Fra' Galgario «scoperti» in occasione della mostra dedicata all'artista bergamasco: incrociando dati e informazioni, osservando e raffrontando, è stato infatti possibile risalire a tracce che riportavano dritti dritti alle opere di Vittore Ghislandi conservate in qualche chiesa della provincia.
«È un progetto in espansione – puntualizza Tecla Rondi – attraverso conferenze sul territorio e cd rom per itinerari tematici. L'intento è quello di mostrare al fruitore oggetti e significati che non vede abitualmente, di aiutare a leggere la dimensione spirituale nell'opera d'arte offrendo al tempo stesso nuovi stimoli per scoprire i tesori della Bergamasca». Insomma, un percorso che non si ferma alla fruizione tout court: perché osservare significa anche capire e indagare. «I parroci – aggiunge l'assessore – hanno saputo costruire una mentalità a favore della conservazione, della tutela e del restauro, ma è altrettanto importante far rivivere agli occhi della gente un quadro bello e restaurato».
Esemplare la storia dell'arazzo conservato nel museo della basilica di Gandino. L'origine riporta a Bruxelles nel 1580 tra i maestri nell'arte dell'arazzo: la committenza si deve a un nobile gandinese, tal Bartolomeo Castello, che pensò bene di affidare la propria generosità all'élite delle manifatture europee. Commissionata, realizzata. La «Presentazione al tempio», tessuta da mani esperte e raffinate, era pronta ad adornare la vecchia chiesa parrocchiale di Gandino. Simbolo insieme della ricchezza del paese e della magnanimità del donatore, offriva ai fedeli un esempio di vita cristiana di immediata lettura. Basta interrogarla e la storia restituisce usi e costumi tra arte e fede del tempo. Grazie agli inventari, oltre 250 mila oggetti sono stati contati, numerati, descritti, ma la storia continua sulla via della conoscenza.
«Affidata la cura dei beni storico-artistici ai parroci – precisa Silvia Muzzin, storica dell'arte impegnata nel lavoro di catalogazione, occorre ora trovare idee nuove per promuovere e valorizzare l'immenso patrimonio di bellezza disseminato sul territorio». Insomma, la mappatura certosina registra dati e dettagli, le nuove tecnologie svelano il tesoro: la curiosità fa il resto «vis à vis» con l'opera d'arte. E il patrimonio dimenticato torna a vivere.

Autore: 

Sara Locatelli

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