Testimonianze della fede del passato

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Data pubblicazione: 

26/02/2004
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Arazzo del '500 custodito nel Museo della Basilica di Gandino

Schedare tutti gli oggetti d'arte e di culto che si trovano nelle chiese di Bergamo: un'impresa impossibile, a prima vista. Le chiese sono numerosissime e numerosi i quadri, i legni, gli arredi sacri che ogni chiesa possiede. L'impresa è arrivata a termine, con qualche problema, con molte spese e molta, giustificata soddisfazione.
Di solito, quando si fa un bilancio di un'impresa così, si parla degli ovvi vantaggi per la tutela dell'immenso patrimonio di cui la chiesa è custode. Sapere che cosa si possiede è bene, scoraggia i furti, facilita il compito di chi deve eventualmente recuperare beni smarriti o trafugati. Ma ci si chiede poco che cosa significa questa impresa per la committenza, come si usa dire, cioè per la comunità cristiana che è proprietaria di quei beni. Se si va in una qualsiasi sagrestia, si trovano tra i bei mobili antichi che coprono le pareti uno o più armadi nei quali sono riuniti i «vasi sacri» in dotazione alla chiesa. Sono calici, pissidi, ostensori, reliquiari, secchielli per l'acqua santa, vasetti per gli oli santi, teche per le ostie consacrate o, ancora, per le reliquie e tanti altri. È uno degli aspetti «minori» dell'arte sacra. Se appena ci si ferma a osservare con un po' di attenzione, ci si accorge che un insieme di oggetti simili possiede un fascino particolarissimo. Si trovano uno accanto all'altro, talvolta, un calice cesellato del Cinquecento, una pisside seicentesca piena di ghirigori, un ostensorio tutto dorature e raggiere del Settecento. È come se il passato si fosse condensato in quei pochi oggetti radunati in quell'oscuro angolo di una qualsiasi sagrestia.
Quando, in quell'angolo, si trovano oggetti moderni, di solito sfigurano. Il confronto fra gli oggetti sacri del passato – soprattutto quelli molto numerosi del sei-settecento – e gli oggetti sacri di oggi è quasi sempre a favore dei primi. Intanto per un motivo banale: quello che noi chiamiamo passato si distende su periodi molto lunghi: si fa presto a dire sei-settecento: ma sono due secoli. Quando si parla del presente, invece, si può al massimo far risalire indietro di qualche decennio. Ma poi soprattutto il passato ha il fascino del tempo e della lontananza: ciò che è antico è anzitutto bello perché è antico e poi spesso è bello, semplicemente, e allora la bellezza e l'antichità contribuiscono a dare a quegli oggetti il loro indefinibile fascino.
Ma quegli oggetti sono un indicatore importante anche per l'esperienza di fede della comunità cristiana che li possiede. La fede è stata spesso estroversa, se così si può dire, soprattutto la fede popolare: esibita, celebrata, vistosa. Non ci si limitava a pregare silenziosamente la Madonna, ma la si issava su un altare, la si portava in processione, se ne baciava la reliquia. Non si celebrava la Messa sempre uguale perché «è la Messa» ma, quando arrivava la festa del Corpus Domini, si tirava fuori dall'armadio più riposto della sagrestia il calice più bello, l'ostensorio più grande, i paramenti più preziosi. La fede profonda coincideva con la possibilità di essere celebrata e quindi di essere vista.
Il confronto con gli oggetti moderni è spesso deludente non solo perché questi sono pochi, ma perché sono poveri. Certi striminziti calici, certi candelabri pietosi, certi brutti incensieri – esiste e resiste una vasta paccottiglia liturgica – stanno a dimostrare la difficoltà moderna a «dire» la fede e soprattutto a dirla nei dettagli. La fede «si vede» di meno e si dice di meno, come se fosse diventata vergognosa. Naturalmente non sono i calici e i paramenti che hanno trasformato così la fede, ma viceversa. È il modo moderno di essere cristiani che è diventato soggettivo, introverso, povero di riti e di segni. La fede si celebra di meno e, di conseguenza, si vede di meno.
L'archiviazione che la chiesa di Bergamo ha completato ha fatto toccare con mano quanto ricco sia il passato che le è stato consegnato. La ricchezza di questo passato è un impegno per la chiesa di oggi non solo a custodire quello che c'è, ma a inventare quello che non c'è. La fede, infatti, deve sempre passare dal cuore agli occhi, dalla testa alle mani.

Autore: 

Alberto Carrara

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