Gandino, il paese «Giusto fra le Nazioni»

Le famiglie del posto ospitarono decine di personeIl Comune verso il titolo di «Giusto fra le Nazioni»

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Data pubblicazione: 

26/01/2014
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Bortolo e Battistina Ongaro
Alcune bambine di Gandino e alcune bambine ebree insieme
I «Giusti» gandinesi Francesco Nodari e Chiara Carnazzi
Piazza Vittorio Veneto a Gandino in una foto degli anni ’40. In quel periodo tante famiglie ospitarono ebrei
Agnese Aghi Gerber negli anni ’40

«Colui che salva una sola vita, salva il mondo intero».
La citazione del Talmud ebraico (sottotitolo del film Schindler’s List di Steven Spielberg del 1993) corredava nel 2006 i diplomi che il Comune di Gandino riservò alle famiglie che in paese, negli anni ’40, avevano ospitato a rischio della vita decine di ebrei. A settant’anni da quei giorni tristi e a otto da quella commovente cerimonia, Gandino potrebbe avere un onore inedito e importante: veder riconosciuto all’intero paese il titolo di «Giusto fra le Nazioni», l’unica onoreficenza civile dello Stato d’Israele. A battersi per questa ipotesi è Marina Loewi Zinn, oggi residente nel New Jersey (Usa) e salvata a Gandino, insieme alla madre Mariem Loewi (profuga dal Belgio) e al fratello Siegbert. Marian Loewi e i suoi familiari hanno già dimostrato compiutamente la loro infinita gratitudine perorando con successo l’assegnazione alla memoria a sei gandinesi del titolo di «Giusti fra le Nazioni », avvenuta nel novembre 2005. Si tratta di Bortolo e Battistina Ongaro (che per primi ospitarono direttamente la famiglia Loewi), Vincenzo Rudelli (al tempo sindaco di Gandino) e Giovanni Servalli (impiegato comunale) che provvedevano per i documenti di copertura e i coniugi Francesco Lorenzo e Maria Chiara Carnazzi Nodari , che ospitarono successivamente i Loewi nella cascina di Prat Serval.
L’istanza di riconoscere a Gandino un titolo unico ed esemplare è stata ripresa nei mesi scorsi dallo scrittore Sergio Luzzatto, in un articolo apparso sul Sole 24 Ore. Trae spunto, per quanto riguarda Gandino, da uno studio portato avanti per anni dallo storico gandinese Iko Colombi, che ha raccolto con attenzione unica e certosina le testimonianze dirette di molti anziani e consultato gli album di famiglia di tanti gandinesi: gli archivi ufficiali di Comune e parrocchia rivelano infatti pochissimi dettagli, dato che in paese certamente tutti sapevano, ma nessuno tradiva. «Gli ebrei ospitati con grandissimo rischio da alcune famiglie – sottolinea Colombi – furono circa cinquanta, sorretti da un’incredibile rete di solidarietà.
I primi a giungere in paese, nel 1940, furono gli Zeitlin da Sarajevo (Jugoslavia), ospitati presso la famiglia di Michele Nodari lungo il viale del cimitero. Si trattava di Samuel Zeitlin, rabbino, con la moglie Katarina e i figli Milan, Svonkof, Giuseppe, Mirko con la moglie Furst Ester e la figlioletta Frida. Da questi ultimi il 7 dicembre 1941 nacque a Gandino il piccolo Ignazio. Consapevoli di essere stati probabilmente individuati dai tedeschi, ripararono in località “Bonalt” presso Luigino Ongaro e poi in vicolo Purgatorio, nel fondovalle ».

La solidarietà della gente
Il passaparola e la consapevolezza di un posto abbastanza sicuro, incoraggiarono l’arrivo di molti altri. «Si chiamavano – aggiunge Colombi – Kerbes, Wainrob, Hacher, Isaach, Lowi, Grundland, Gottlieb, Dubiensky. Molti avevano documenti italiani, grazie all’opera dei coraggiosi impiegati comunali. Per far perdere le proprie tracce, qualora individuati oppure in occasione dei rastrellamenti, solevano spostarsi di casa in casa o sui monti.
Alfred Hacher, la moglie e le figlie Luzy e Trudy, quando stavano per essere catturati in casa della maestra Ines Astori, si rifugiarono in località Plaz. Francesco e Margherita Andreoletti, gestori dell’albergo Makallè, ospitarono i polacchi Grundland. Ma gli esempi sarebbero davvero infiniti». Lo studioso Luzzatto segnala che fra coloro che ospitarono gli ebrei ci furono probabilmente anche le Suore Orsoline di Gandino, che in paese hanno tutt’oggi la casa madre. Per tutto quel lungo periodo di tempo non vi fu mai delazione alcuna, e a Gandino nessun ebreo fu catturato, salvo Ladislao Gerber, che fu poi rilasciato proprio per l’intercessione di un gandinese.
Nel 1948, a tre anni dalla Liberazione gli «ebrei di Gandino» consegnarono all’allora sindaco Raimondo Zilioli una pergamena che ribadiva «commossa riconoscenza e perenne gratitudine, in un mondo in cui ancora troppi antepongono l’interesse alla morale».

Il Comune dei Giusti
I sei «Giusti fra le Nazioni» riconosciuti nel 2005 garantiscono a Gandino il «primato» di essere (in rapporto ai suoi cinquemila abitanti degli anni ’40) il Comune a più alta densità di «Giusti» in Italia. Nel 2006 l’iniziativa dell’allora sindaco Gustavo Maccari suggerì lo studio a Iko Colombi e portò alla consegna di 25 benemerenze ad altrettante famiglie che contribuirono in vario modo alla salvezza degli ebrei. Particolarmente intenso fu allora l’incontro di Carlo Loewi e Senta Kuschlin («Pucci» nella memoria di molti gandinesi), esuli a Gandino quando ancora erano bambini, con la famiglia del fornaio Giovanni Andreoletti che li aveva ospitati.
Il riconoscimento di «Giusto fra le Nazioni» all’intero paese di Gandino non è probabilmente prossimo, stanti le verifiche puntuali e dettagliate che Israele avvia per ogni segnalazione. Ma nel grande libro della storia e soprattutto nel cuore di molti, i gandinesi hanno già oggi il posto che meritano.

«Fu il fascista Carnazzi a liberare mio fratello»
L’ebrea Rosa Gerber testimoniò al processo di Asti
«Si adoperò per evitare che Ladislao fosse ucciso»

Le testimonianze di molti ebrei, esuli a Gandino nei cupi Anni ’40 del secolo scorso, hanno contribuito al riconoscimento di sei «Giusti fra le Nazioni» e sono alla base della richiesta allo Yad Vashem (il Museo ebraico dell’Olocausto ) di conferire tale titolo all’intero paese della Val Seriana. Fra i documenti emersi negli ultimi anni c’è anche una storia (ignota ai più anche a Gandino) che riguarda la testimonianza di un’esule gandinese nell’ambito di un processo tenutosi, dopo la Liberazione del 1945, davanti alla Corte straordinaria d’assise di Asti. A darne conto è lo storico e scrittore Sergio Luzzatto nel libro «Partigia», edito da Mondadori nell’aprile 2013 e presentato anche a Bergamo lo scorso giugno nella sede dell’Associazione generale di mutuo soccorso.

I due protagonisti
Protagonisti della storia Cesare Augusto Carnazzi e Rosa Gerber. Il primo, avvocato bergamasco ma con probabili ascendenti gandinesi, la seconda esule con la famiglia a Gandino. Carnazzi fu segretario del Partito fascista ad Aosta nei primi Anni ’40, e da repubblichino fu nominato prefetto della città. Trasferito successivamente con analogo incarico ad Asti, fu sottoposto a giudizio nell’ottobre del 1945 per le attività contro partigiani ed ebrei, compreso l’arresto di Primo Levi ed alcuni compagni, avviati poi all’orrore della deportazione. Un episodio quest’ultimo oggetto di controversie fra storici e letterati. Fra le dichiarazioni a discapito di Carnazzi, in fase processuale, i legali presentarono quelle di capi partigiani, docenti universitari, magistrati e rappresentanti del clero che sfumavano i contorni del suo operato. Lo scopo era dimostrare che Carnazzi si era occupato di aspetti amministrativi e non aveva svolto azioni di polizia attiva, pur avendo lavorato alla costituzione dei «Moschettieri delle Alpi», battaglione della Repubblica sociale che agiva contro i gruppi della Resistenza. Rosa Gerber, nativa di Budapest, nel 1945 aveva 33 anni e fu ad Asti fra quei testimoni a discarico.
Secondo l’attenta ricostruzione documentale di Sergio Luzzatto, Rosa mise agli atti una lettera datata 7 agosto 1945, firmata da lei ed altri sei familiari, originari della Polonia ed esuli a Gandino. Si trattava dei coniugi Salomone ed Enzia (bianca) Gerber, con i figli Oscar, Rosa (Rosy), Elena (Ellen), Ladislao (Lazy) e Agnese (Aghi). Furono ospitati e salvati da Silvestro Rota e Teresa Pezzoli, che li accolsero nella loro casa di vicolo Doana Ferretti, in pieno centro storico. «Lazy – ricorda Iko Colombi – fu catturato dai tedeschi nel rastrellamento del 28 agosto 1944. All’alba di quella calda mattina, una colonna di camion tedeschi e alleati fascisti, invase il paese a sorpresa. Bloccando le vie di accesso con postazioni armate, passarono al setaccio ogni casa, alla ricerca di gioventù da deportare. Erano le cinque del mattino». Ladislao fu arrestato ed imprigionato a Bergamo, con l’accusa di essere ebreo e partigiano e per questo passibile di condanna a morte.

«Perenne gratitudine»
Nella lettera presentata al processo di Asti i componenti della famiglia Gerber attestavano «con cuore commosso la loro perenne gratitudine al dott. Cesare Augusto Carnazzi per la sua opera buona e generosa, con la quale ha salvato la vita di un giovane e ciò senza alcun interesse ma solo per grande bontà ». Carnazzi infatti al tempo era dirigente a Bergamo dell’Opera nazionale maternità e infanzia e secondo la lettera «si interessava calorosamente presso le autorità italiane e tedesche», al punto da far sì che Ladislao Gerber venisse liberato. Il libro di Luzzatto (che in questi mesi sta approfondendo gli studi raccogliendo testimonianze e documenti a Gandino in vista di un nuovo libro) riporta anche la testimonianza, raccolta nel luglio 2012, di Elena Gerber, che conferma il disinteressato aiuto del fascista di origini gandinesi. Il comune legame con Gandino finì col prevalere sulla cieca ideologia che spense in quegli anni la luce della speranza. Anche la storia insegna che la pace inizia da ciascuno di noi.

Ventisei nuclei familiari aiutarono gli esuli
Lo studio di Iko Colombi per il Comune di Gandino ha individuato 26 famiglie che hanno aiutato gli ebrei esuli a Gandino negli anni ’40. L’elenco è nel libro «Gandino, la storia». Queste le famiglie: 1) Alessio Brignoli e Maria Nodari; 2) Vincenzo Rudelli e Candida Loverini; 3) Bortolo e Battistina Ongaro; 4) Francesco Lorenzo Nodari e Maria Chiara Carnazzi; 5) Francesco Forzenigo e Margherita Andreoletti; 6) Ponziano Moro e Margherita Canali; 7) Famiglia Michele Nodari; 8) Ines Astori; 9) Giovanni Andreoletti ed Elisa Astori; 10) Pietro Alberti; 11) Tommaso Crotti e Fede Archetti; 12) Giovanni e Ines Motta; 13) Giovanni Servalli e Lucrezia Bonetti; 14) Santo Servalli e Matilde Castelli; 15) Valentino Savoldelli e Santa Colombi; 16) Silvestro Rota e Teresa Pezzoli; 17) Famiglia Antonio Sales; 18) Giovanni Forzenigo e Adelina Franchina; 19) Famiglia Luigino Ongaro; 20) Buona e Angela Bernardi; 21) Giovanni Servalli; 22) Francesco Castelli; 23) Giulio Mosconi; 24) Emilia Nodari; 25) Francesco, Iside e Carlo Castelli; 26) Angelo Zenucchi e Maria Spampatti.

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GIAMBATTISTA GHERARDI

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