«Senza gambe sembrava finita. Sono rinato grazie a mia moglie»

Gandino, nel 2002 un terribile incidente d'autoAndrea Pegurri non può più camminare«Ero disperato». Poi le nozze con la fisioterapistaLa fiducia è tornata. E va in gita al Curò, in quad

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18/07/2011
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lo scambio degli anelli, il 23 maggio 2009
Andrea e Valentina verso il Curò
Andrea e Valentina Pegurri al rifugio Curò, raggiunto da Gandino in quad all'inizio di luglio

La distrazione di un attimo, un colpo di sonno improvviso e quella strada che piega in una leggera curva: nove anni fa la storia di Andrea Pegurri, ventinovenne di Gandino, era già finita sui giornali, ma non sembrava una storia a lieto fine.
Un incidente stradale l'aveva infatti costretto su una sedia a rotelle e gettato improvvisamente del mondo della disabilità. Ma ora, a distanza di nove anni, la sua storia si è trasformata in un racconto di rinascita e di riscatto: Andrea si è sposato, ha trovato un nuovo lavoro ed è riuscito a realizzare il sogno che teneva nel cassetto da quando il suo corpo l'ha tradito: quello di poter tornare al rifugio Curò insieme a sua moglie Valentina.
A 2000 metri, che aria
«Non pensavo che ce l'avrei fatta: quando sono arrivato in cima ho pianto di gioia». Sul suo volto si allarga il sorriso mentre racconta di come sabato 2 luglio, alla guida del suo quad Tgb Blade «passo lungo» stracarico di bagagli, tenda e carrozzina, sia riuscito a raggiungere il rifugio sopra Valbondione, a circa 2000 metri di quota.
Un'impresa ardua – la strada è ripida e le curve molto strette –, ma che gli ha anche permesso di battere un doppio record: pare infatti che Andrea sia il primo disabile in carrozzina a raggiungere autonomamente il rifugio e la seconda persona che ci sia finora arrivata con il quad, dopo il gestore.
«Quando ho deciso di tentare non lo sapevo – ammette ridendo –, e il gestore del rifugio mi ha pure detto che sono matto!».
Una scalata, quella di Andrea, che si pone a suggello di lunghi anni di sforzi per riuscire a ridare un senso a una vita che, subito dopo l'incidente, sembrava finita. Prima del 15 marzo 2002 Andrea era un ventenne come tanti altri: lavorava in una ditta di macchine di stampaggio a Torre de' Roveri, aveva molti amici e una forte passione per la montagna. Poi, quel giovedì sera sulla provinciale della Val Gandino, all'altezza dello svincolo per le piscine di Casnigo, la svolta.
Rimasto per una settimana in coma, per due mesi in terapia intensiva agli Ospedali Riuniti di Bergamo e altri due mesi in semi-intensiva, altri tre mesi li ha passati al «Matteo Rota» di Bergamo.
Quel Padre Nostro
«Non ricordo quasi nulla dell'incidente – racconta –. Solo un forte dolore e un Padre Nostro, recitato nella confusione anche se non ero credente. Poi, il buio totale».
Lesione midollare spinale, questa la diagnosi. In parole povere, «non posso camminare – spiega Andrea –. Ma non l'ho subito realizzato completamente. Prima ero un po' "la novità" del momento: coccolato, salutato da tutti in paese, anche dalla gente che non conoscevo. E in fondo c'era l'inconscia speranza che, alla lunga, potessi guarire. Le cose più banali erano diventate una fatica immane, vedevo barriere architettoniche dappertutto. Quando infine, un paio d'anni dopo lo schianto, mi sono deciso ad accettare il fatto che la carrozzina sarebbe stata la compagna di tutta la vita, mi è crollato il mondo addosso. Avevo 22 anni, capisci?».
L'inizio della rinascita
È stato in quel periodo che Andrea si è avvicinato alla fede, grazie a un amico che l'ha convinto ad accompagnarlo in pellegrinaggio a Medjugorje. Da questa esperienza è iniziata la sua rinascita: «Ho capito – racconta – che avrei potuto ancora realizzare qualcosa, se solo mi fossi rimboccato le maniche».
E l'ha fatto: ha ripreso a studiare conseguendo la patente europea per il computer e ha trovato un nuovo lavoro, come impiegato part-time in una ditta di Nembro. Al tempo stesso, ha anche preso la patente B Special e ripreso la riabilitazione per acquisire più autonomia nei movimenti, al centro riabilitativo di Mozzo.
«Mi sposi?»
«Ed è stato lì – continua con un gran sorriso – che ho conosciuto Valentina, circa cinque anni fa. Stava facendo il tirocinio per diventare fisioterapista. Mi ha subito colpito, era una ragazza dolcissima e capiva la mia situazione». Valentina – che oggi ha 26 anni ed è di Monza – e Andrea hanno cominciato a frequentarsi, fino a quando lei non l'ha stupito, puntando dritto al cuore: gli ha chiesto di sposarlo, appendendo uno striscione proprio nel punto in cui lui aveva fatto l'incidente. Si sono sposati il 23 maggio 2009.
«L'ho sempre ammirata – continua Andrea – per la forza che ha dimostrato nel voler comunque sposare un ragazzo come me, un disabile. A parti invertite, non so se avrei avuto lo stesso coraggio. Ma ora non scambierei Valentina neanche per un paio di gambe nuove».
Non arrendersi mai
È anche per questo che ha deciso di portarla con sé nella sua impresa in montagna, il 2 luglio scorso: per mostrarle il Curò – quel rifugio che con i suoi paesaggi suggestivi l'aveva stregato anni prima e gli era rimasto nel cuore – e perché «è lei che mi ha dato tanta forza negli ultimi anni. Lei e i veri amici che mi sono rimasti accanto, esortandomi a non mollare».
«Con la mia esperienza – aggiunge ancora Andrea – vorrei lanciare un messaggio agli altri disabili come me: vorrei dire loro di non arrendersi mai, perché se ci si fa coraggio la vita ha ancora molte soddisfazioni da offrire».
Ora Andrea guarda con un sorriso al futuro e agli altri sogni nel cassetto: «Mi piacerebbe provare a lanciarmi con il parapendio o il paracadute». Chissà, la fortuna aiuta gli audaci.

 

Autore: 

Erica Balduzzi

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