Perquisita la casa di Alì Sotto sequestro i vestiti

Delitto di Vertova, sopralluogo nell'alloggio del senegalese Alcuni indumenti prelevati a Gandino, altri in carcere

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Data pubblicazione: 

07/09/2008
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GANDINO Sono in cerca di nuovi indizi i carabinieri del nucleo investigativo di Bergamo che indagano sull'omicidio dell'imprenditrice Maria Grazia Pezzoli, uccisa con trenta coltellate il 24 luglio scorso a Vertova. I militari del capitano Giovanni Mura ieri mattina si sono recati nell'abitazione di Gandino dove Alì Ndiogou – il senegalese di 40 anni in cella con l'accusa di essere l'autore del delitto – abita con due connazionali e hanno sequestrato alcuni suoi indumenti. Gli investigatori sono arrivati verso mezzogiorno nella casa di vicolo Crotti 2, nella zona nota anche col nome di «Purgatorio», e sono usciti circa un'ora dopo con alcuni indumenti dell'immigrato: a quanto si è appreso i militari avrebbero sequestrato alcune magliette, pantaloni e calzature. Dopo la perquisizione a Gandino, dove era presente anche l'avvocato Emanuela Sabbi che collabora con l'avvocato Giovanni Fedeli difensore del senegalese, i militari sono andati nel carcere di via Gleno dove Alì Ndiogou è detenuto: dalla sua cella hanno portato via altri indumenti.

Verifiche sui vestiti dell'indagato
Sui motivi che hanno spinto i detective dell'Arma a sequestrare i vestiti dell'indagato non trapelano dettagli, ma è possibile che la scelta sia stata fatta per compiere tre diversi tipi di accertamenti. Primo: verificare i colori con i testimoni che hanno detto di aver visto un uomo africano allontanarsi il pomeriggio del 24 luglio dalla casa di via Cinque Martiri dove è avvenuto il delitto. I testimoni sono concordi sul colore della pelle dell'uomo visto, ma non sul colore dei suoi abiti. Per alcuni l'uomo era vestito di scuro, per altri aveva dei bermuda dalle tinte sgargianti. Forse guardare i vestiti aiuterà i testimoni a ricordare meglio i colori.
Secondo: verificare se tra i pantaloni del senegalese ce ne sia un paio compatibile con il lembo di jeans trovato due giorni dopo il delitto. Il 26 luglio, infatti, nei pressi della stazione i carabinieri avevano trovato un pezzo di pantalone su cui i Ris avevano trovato tracce di sudore del senegalese e sangue della vittima: insieme al frammento di stoffa erano state ritrovate anche delle foto tessera di Giuseppe Bernini che gli erano state rubate nel febbraio del 2006. Sulla custodia plastificata delle foto c'era un'impronta digitale di Ndiogou.
Terzo possibile accertamento: analizzare gli indumenti del senegalese in cerca di tracce organiche. Sangue, saliva e liquidi biologici potrebbero essere rimasti imprigionati nei tessuti ed essere trovati attraverso rilievi scientifici mirati da parte degli esperti dei carabinieri di Bergamo oppure dai loro colleghi del Ris di Parma, che in queste settimane hanno già analizzato diversi reperti, tra cui anche quelli che hanno fatto scattare il fermo di Ndiogou.

Prosegue l'indagine difensiva
Nel frattempo l'avvocato Giovanni Fedeli affila le armi per l'indagine difensiva che ha deciso di avviare per chiedere la scarcerazione del senegalese: la prossima settimana il legale ascolterà la dipendente dell'Adecco di Albino che avrebbe incontrato Alì Ndiogou il 24 luglio, successivamente ascolterà il personale del bar di Gandino dove l'uomo ha dichiarato di essere stato prima di andare a pranzo. Gli orari di questi incontri saranno determinanti per valutare l'alibi fornito dal senegalese, che ha sempre detto di essere stato prima al bar, poi a pranzo e, nel primo pomeriggio (quando è avvenuto l'omicidio a Vertova), all'Adecco di Albino. Ndiogou avrebbe anche ricevuto una telefonata dall'Adecco prima di recarsi all'agenzia: la difesa vuole vedere i tabulati del telefonino del senegalese per stabilire l'orario e il ponte radio a cui era agganciato, e quindi stabilire dove si trovava.

Autore: 

Emanuele Biava

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