Lana, cotone, lino, seta (un po' meno), fibre artificiali e poi filati chimici evoluti, con una deviazione verso il meccanotessile. Si dipana lungo questo filo, è il caso di dirlo, la storia dell'industria tessile nella Val Gandino, delineata ieri alla Sala consiliare di Leffe, in un incontro organizzato nell'ambito di “Per filo e per segni. Innovazione e creatività dell'industria tessile a Bergamo tra XIX e XXI secolo”, che dedica all'evento una mostra aperta fino al 29 giugno al Museo storico di Bergamo.
Attraverso la storia si scopre anche una ricetta per l'industria di oggi giocata sulle costanti dell'evoluzione, dell'innovazione, dell'apertura ai cambiamenti. «Le origini dell'industria della lana in Val Gandino – ha precisato Geoffrey J.Pizzorni, docente all'Università Bicocca di Milano – risalgono al XIII secolo e sono strettamente legate alla povertà dell'agricoltura. Con un raccolto, una famiglia poteva sfamarsi al massimo per due mesi, per cui era indispensabile integrare le magre entrate agricole con qualcosa di diverso». Il legame con le coltivazioni rimarrà inalterato fino all'Ottocento, tanto è vero che, soprattutto in estate, spesso la produzione del tessile veniva sospesa, o comunque subordinata all'attività agricola, nei periodi durante i quali era necessario maggiormente l'intervento dell'uomo. «Nel corso dei secoli – ha proseguito – la Val Gandino ha visto via via l'affermazione delle dinastie imprenditoriali, la chiamata di esperti stranieri, olandesi in special modo, per affinare le produzioni e affrontare la concorrenza, la diversificazione della produzione, dalla lana grezza al cotone, per poi approdare al prodotto finito». Una produzione che se, fino a buona parte del secolo scorso, era di «basso-medio livello», basata più sulla quantità e destinata «alla popolazione urbana che aumentava e aveva bisogno di tessuti economici», si è progressivamente spostata, negli ultimi decenni, verso prodotti di nicchia e di qualità più elevata.
L'arrivo dell'energia elettrica prima e di telai sempre più all'avanguardia, insieme «alla presenza di macchinari all'interno di ogni casa, sono aspetti che hanno dato forza al settore. Doppio lavoro, poca sindacalizzazione, alta produttività sono i punti di forza del comparto, che in valle ha saputo superare i momenti di crisi grazie alla capacità di aprirsi all'estero e alle novità. Anche la dimensione delle imprese, medio-piccole, ha contribuito a creare un modello aziendale, che si è poi diffuso in tutto il Paese», ha concluso Pizzorni.
«La produzione industriale della Val Gandino parte dalla lana – ha sottolineato Ezio Carissoni, docente e responsabile dell'area tessile all'Istituto tecnico di Bergamo (“Esperia”) – che veniva tagliata, lavata e cardata da donne e bambini. Gli uomini si occupavano della tessitura». Con il passare dei secoli, «le tecniche si sono evolute – ha affermato Carissoni – e la capacità e l'inventiva dei valligiani hanno portato alla realizzazione di prodotti innovativi (tute da jogging, giacche a vento, leggerissimi giubbotti antiproiettile) e di telai sempre più automatici e veloci. Nei momenti di crisi, in Val Gandino sono sempre stati capaci di dare risposte innovative».
Attraverso la storia si scopre anche una ricetta per l'industria di oggi giocata sulle costanti dell'evoluzione, dell'innovazione, dell'apertura ai cambiamenti. «Le origini dell'industria della lana in Val Gandino – ha precisato Geoffrey J.Pizzorni, docente all'Università Bicocca di Milano – risalgono al XIII secolo e sono strettamente legate alla povertà dell'agricoltura. Con un raccolto, una famiglia poteva sfamarsi al massimo per due mesi, per cui era indispensabile integrare le magre entrate agricole con qualcosa di diverso». Il legame con le coltivazioni rimarrà inalterato fino all'Ottocento, tanto è vero che, soprattutto in estate, spesso la produzione del tessile veniva sospesa, o comunque subordinata all'attività agricola, nei periodi durante i quali era necessario maggiormente l'intervento dell'uomo. «Nel corso dei secoli – ha proseguito – la Val Gandino ha visto via via l'affermazione delle dinastie imprenditoriali, la chiamata di esperti stranieri, olandesi in special modo, per affinare le produzioni e affrontare la concorrenza, la diversificazione della produzione, dalla lana grezza al cotone, per poi approdare al prodotto finito». Una produzione che se, fino a buona parte del secolo scorso, era di «basso-medio livello», basata più sulla quantità e destinata «alla popolazione urbana che aumentava e aveva bisogno di tessuti economici», si è progressivamente spostata, negli ultimi decenni, verso prodotti di nicchia e di qualità più elevata.
L'arrivo dell'energia elettrica prima e di telai sempre più all'avanguardia, insieme «alla presenza di macchinari all'interno di ogni casa, sono aspetti che hanno dato forza al settore. Doppio lavoro, poca sindacalizzazione, alta produttività sono i punti di forza del comparto, che in valle ha saputo superare i momenti di crisi grazie alla capacità di aprirsi all'estero e alle novità. Anche la dimensione delle imprese, medio-piccole, ha contribuito a creare un modello aziendale, che si è poi diffuso in tutto il Paese», ha concluso Pizzorni.
«La produzione industriale della Val Gandino parte dalla lana – ha sottolineato Ezio Carissoni, docente e responsabile dell'area tessile all'Istituto tecnico di Bergamo (“Esperia”) – che veniva tagliata, lavata e cardata da donne e bambini. Gli uomini si occupavano della tessitura». Con il passare dei secoli, «le tecniche si sono evolute – ha affermato Carissoni – e la capacità e l'inventiva dei valligiani hanno portato alla realizzazione di prodotti innovativi (tute da jogging, giacche a vento, leggerissimi giubbotti antiproiettile) e di telai sempre più automatici e veloci. Nei momenti di crisi, in Val Gandino sono sempre stati capaci di dare risposte innovative».
Data di inserimento:
25-04-2008