Si è ripetuta quest’anno la tradizionale "notte delle capre" a Barzizza, che in corrispondenza dell’Ascensione vede "fiorire" nella contrada di Gandino, rami e scritte legati a una tradizione secolare.
Ogni anno, nella settimana in cui cadeva la festa dell’Ascensione, si svolgevano a Barzizza le Rogazioni, processioni a carattere propiziatorio, per impetrare dal cielo la fecondità dei campi e la protezione contro le intemperie (a fulgore et tempestate). Riesumazione cristiana di antichissimi riti pagani legati al culto della terra, la «Grande Madre», alma generatrice di tutti gli esseri viventi.
Le Rogazioni si tenevano dal lunedì al mercoledì, seguendo un ordine e degli itinerari ben definiti, consacrati dalla tradizione. Sempre partendo dalla chiesa di San Nicola, il primo giorno si scendeva fino alla Fossa dei Crotti, in località Caréra, nei pressi dell’attuale cimitero, per poi ritornare lungo la mulattiera di Besnigo, fra campi seminati e prati in fiore o in piena fienagione di maggengo. Il martedì si faceva il percorso opposto e si saliva fino alla chiesa di San Lorenzo, l’antica parrocchiale. L’ultimo giorno la processione seguiva le due mulattiere della Valle da Pi e di Valégia, quasi a voler segnare con una grande croce il territorio del comune.
La festa dei pendolòcc, termine dialettale, caratteristico ed esclusivo, col quale si indicano a Barzizza i fiori del maggiociondolo, si celebrava furtivamente nella notte fra il mercoledì e il giovedì (la notte dell’Ascensione). I maschi, celibi e sposati, ma in prevalenza giovani, tappezzavano la piazza dell’arengo (l’attuale piazza Duca d’Aosta) e le strade del centro urbano con rami fioriti di maggiociondolo. Un’attenzione del tutto particolare era riservata alle porte e alle finestre delle ragazze da marito e delle zitelle. I rami erano stati recisi nel corso della giornata e accuratamente riposti in grossi fasci, affinché i fiori potessero conservare la loro freschezza per la notte della festa. La raccolta avveniva sulle pendici del Monte Farno, preferibilmente in una valle chiamata appunto al de pendolòcc (Valle dei Maggiociondoli), che scende dalla pozza del Gervàs fino a immettersi nella al dol tass (Valle di San Lorenzo o dei Fontanelli). Nella piazza e per le strade l’allegra brigata dei maschi spargeva in abbondanza strame (patösc) e prezzemolo selvatico. I più estrosi si cimentavano a disegnare con la calce figure di capre sui muri delle case e - laddove possibile - per terra, davanti alle porte d’ingresso. Alle finestre si appendevano anche rozzi e buffi pupazzi di stoffa imbottita di fieno o di paglia, sempre raffiguranti capre. Il tutto si svolgeva in poche ore, nel silenzio e quasi di nascosto. Al mattino prima dell’alba le donne avevano già ripulito completamente la piazza, le strade e i muri delle case, in gara col tempo e con i maschi canzonatori. Il nuovo giorno sorgeva come se nulla fosse avvenuto. Ma chi entrava in chiesa poteva assistere a un’insolita parata di fiori di maggiociondolo posti ad ornamento dell’altar maggiore e di quelli laterali.