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Emozioni intense, ricordi e l’impegno a non dimenticare, mai.
È stata particolarmente partecipata a Gandino la serata organizzata dall’assessorato alla Cultura del Comune in occasione del Giorno della Memoria. Le testimonianze dello storico locale Iko Colombi affiancato da Giambattista Gherardi hanno ricordato lo slancio di solidarietà che vide la comunità gandinese protagonista del salvataggio di un centinaio di ebrei negli Anni ’40, soprattutto dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943.
Grazie alla proiezione di immagini d’epoca, reperite con un certosino lavoro di ricerca negli album di molte famiglie, Colombi ha tracciato l’ideale mappa delle case che in paese e sui monti hanno dato rifugio a esiliati, confinati e clandestini, su cui si accanivano tedeschi e fascisti. Nel corso della serata non sono mancanti i momenti toccanti e inattesi, come la lettera inviata dal New Jersey da parte di Marina Löwi a Giuseppe Ongaro. Lei giunse a Gandino insieme alla mamma Maria e al fratello Siegel, mentre i genitori di Ongaro (Bortolo e Battistina), furono fra quanti ospitarono il terzetto di disperati. Marina Löwi una decina di anni fa perorò la causa presso lo Yad Vashem di Gerusalemme per il conferimento (avvenuto ufficialmente il 30 dicembre 2004) del titolo di «Giusti fra le Nazioni» a sei gandinesi che salvarono la sua famiglia.
Oltre agli Ongaro, anche Vincenzo Rudelli, Giovanni Servalli e i coniugi Francesco Lorenzo e Maria Chiara Carnazzi Nodari. Marina Löwi ha ora proposto che il titolo onorifico venga esteso all’intera comunità gandinese, cui già nel 1948 gli ebrei salvati consegnarono una pergamena autografa, presentata in originale durante la serata. «Si tratterebbe di un riconoscimento di grande rilievo – ha sottolineato Colombi – a oggi concesso di fatto alla sola cittadina francese di Chambon sur Lignon, in Alta Loira, dove trovarono rifugio almeno 3.000 ebrei». Particolarmente commovente è stato l’intervento di Angelo Colombi, classe 1927, residente nella frazione Cirano di Gandino. Il 28 agosto del 1944 fu arrestato in paese mentre scalzo, di buon’ora, si recava ad acquistare il pane.
Fu portato senza ragione apparente in due campi di smistamento a Bergamo e Monza e successivamente nel campo di prigionia di Linz, nell’Austria occupata dai nazisti. «Vi rimasi fino al giugno 1945 – ha ricordato con grande lucidità – fra privazioni inenarrabili. Tre compagni che erano come furono trasferiti un giorno nel vicino campo di Mauthausen e di loro non si seppe più nulla. Per puro caso io non subii la stessa sorte». Ricordi particolari sono stati dedicati al salvataggio, nel convento delle Orsoline, di Elisabetta Ghelfenbein, moglie ebrea di Ferruccio Galmozzi, primo sindaco di Bergamo dopo la Liberazione.
A una folta delegazione di suore dell’istituto, si è unito in sala anche Silvio Galmozzi, nipote di Elisabetta e Ferruccio. Un ultimo ricordo è andato alle vittime del mitragliamento del treno della Val Seriana avvenuto a Colzate il 29 gennaio 1945. Fra loro c’era anche Elisa Parolini, all’epoca ventinovenne, unica donna fra le decine di caduti gandinesi iscritti sulle lapidi di piazza Vittorio Veneto a Gandino. «La zia – ha ricordato in sala il nipote Andrea – era diretta a Ponte Selva, da dove avrebbe raggiunto la casa dello zio parroco don Francesco Moro e dove risiedeva anche la sorella Catina.
A Vertova cedette il proprio posto a sedere a una suora, rimanendo in piedi nel corridoio del treno. Una posizione che per lei fu fatale, mentre la suora si salvò».