Francesco d'Assisi è un uomo, prima ancora che essere un santo venerato. Un fratello. E tale bisogna pensarlo, se ci si vuole accostare senza sovrastrutture. Così la Filarmonica Clown affronta «Un uomo di nome Francesco», rinforzata dall'autore Giampiero Pizzol, Letizia Quintavalla alla regia e il francescano Marco Finco sul palco.
Lo spettacolo è andato in scena sabato al Teatro alle Grazie di Bergamo per DeSidera, la rassegna di teatro sacro promossa dal Centro Rezzara con il sostegno de «L'Eco di Bergamo».
Il gioco scenico - c'è una componente ludica in tutti i lavori della Filarmonica Clown - è chiaro fin dall'inizio. Quattro personaggi, forse dei clown, inscenano alcuni episodi della vita di Francesco: uno è padre Finco (unico con un ruolo fisso, il santo), gli altri sono Valerio Bongiorno, Piero Lenardon e Carlo Rossi. Il loro ruolo è più ambiguo, come sempre: entrano ed escono dal personaggio, sottolineano tutti gli elementi metateatrali della messa in scena, solo alla fine s'identificano con Bernardo, Giovanni e Lupo. Ma alla loro maniera: sfruttando ogni occasione per creare gag, fare clownerie.
Ciò conferisce allo spettacolo un profilo ambivalente. Da un lato è un antidoto all'agiografia pura: l'esito sarebbe piatto e scontato. Dall'altro volge la vita di Francesco (la rottura con il padre, la predicazione, la Terra Santa, il Presepe) a pretesto comico.
È un crinale delicato: solo il comico può restituirci la dimensione gioiosa e spiazzante del messaggio francescano, ma il comico da solo rischia di smarrire il centro dello spettacolo, che è pur sempre Francesco.
Si esce dallo spettacolo sapendone quanto prima, il che include la spassosa e scaltrita tecnica della Filarmonica Clown. Ma forse non basta. In replica il 14 maggio a Gandino. Info: www.centrorezzara.it, tel. 035-243539.