Ruggeri nei ricordi del maggiordomo Diego Fiori

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Data pubblicazione: 

20/04/2014
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Diego Fiori, storico maggiordomo di casa Ruggeri

«Di calcio mai capito nulla. Pensi che l’industriale della Valseriana che mi trovò l’aggancio col signor Ruggeri mi disse: “A me un maggiordomo non serve, ma ho un amico, presidente dell’Atalanta, che ne ha bisogno”.
Io abbozzai, poi corsi da uno del mio paese, tifoso nerazzurro, a chiedergli chi era il presidente dell’Atalanta». È così, un po’ inconsapevolmente che, 19 anni fa, Diego Fiori, storico factotum di casa Ruggeri, precipitò in quella che considera la sua seconda famiglia. Compunto, elegante nei suoi grembiuli, indossati come livree anche nei giorni dell’addio a Ivan, quando la villa sulla Maresana era diventata meta di pellegrinaggio per celebrità e semplici tifosi e lui, di quella processione, s’era trasformato nel mesto cerimoniere.
Un anno dopo (ieri l’anniversario della morte, stasera alle 20,30 una Messa in ricordonella chiesa parrocchiale di Telgate), Diego accetta di sedersi sul divano col quale faceva la spola per servire caffè al padrone di casa. «Il signor Ruggeri mi trattava come un figlio– esordisce –. Quando festeggiava il compleanno voleva che mi sedessi a mangiare la torta, mettendomi a disagio perché, nonostante fossi con loro da anni, ero pur sempre il maggiordomo. Aveva sempre un minuto per ascoltarti. Burbero? Di primo acchito poteva fare quasi paura, poi invece... Io non l’ho mai visto arrabbiato.
L’ho visto provato soltanto quando gli ultrà l’avevano contestato. E con noi del personale c’era sempre un sorriso, una battuta. Pensi che quando organizzava le cene qui, alla fine, chiedeva ai commensali: “Be’, non fate i complimenti al mio cuoco?”. Erano piccole cose, però ti facevano sentire importante». Appuntamenti conviviali dove a volte si discuteva di ingaggi, compravendite. Chissà quante ne avrà viste, vero, Diego? «Ma io sono come le tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo – risponde –. Qui sono venuti Galliani, Del Neri, Vavassori, Colantuono, Caniggia. E Mondonico, accidenti a lui (ride, ndr)».
Perché? «Perché era il periodo in cui il mister temporeggiava e ai giornali, scherzando, aveva detto che il fagiano ripieno che avevo cucinato gli era rimasto sullo stomaco e dunque non sapeva se sarebbe rimasto a Bergamo. Il giorno dopo entro dal parrucchiere e vengo additato: “Ecco di chi è la colpa se Mondonico non ha firmato!”». Nessuno, per la verità, s’è mai alzato insoddisfatto da quella tavola. Anzi. C’erano gli estimatori a prescindere come Giacinto Facchetti («Quando lo accoglievo alla porta mi diceva che era contento di essere tornato ad assaggiare i miei piatti») e i gourmet «boccaloni» come Carlo Osti, a cui una volta Alessandro Ruggeri fece credere che gli asparagi sul risotto erano stati pescati in fondo al mare («Però mi chiama ancora adesso per consigli sui minuti di cottura del riso»).
E il piatto che preferiva Ivan? «I risotti. Però quando diventava nostalgico mi chiedeva i “brofa- dèi” (polenta con il latte, ndr), come quelli che gli faceva la sua mamma. Io la mattina, prima di venir giù da Gandino, dove abito, passavo in qualche stalla a prendere il latte appena munto». Mai stato tiranneggiato, anche solo bonariamente? «Il signor Ruggeri prima di disturbare preferiva arrangiarsi. Le rare sere che gli capitava di cenare da solo mi diceva: “Diego, lasciami in frigo prosciutto e formaggio che ci penso io”. Gli ribattevo: “Guardi che se vuole mi fermo a preparare la cena”. E lui: “No, vai pure a casa”».
A proposito, col calcio, poi? «Ho finito per essere coinvolto. Il signor Ruggeri arrivava a casa la domenica e diceva: “Hai visto che partita? Hai visto che gol?”. Non potevo farmi trovare impreparato. E mi è venuta la passione ».

Autore: 

Stefano Serpellini

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