Quel compleanno a Nikolajewka

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Data pubblicazione: 

24/01/2009
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Vincenzo Nodari, originario di Cirano di Gandino, dal ’73 residente a Treviglio, reduce di Russia: lunedì compie 93 anni
Nodari, al centro, con gli amici alpini di Treviglio

Quel giorno compiva 27 anni. Ma non ci fu nessuna festa. Era il 26 gennaio 1943, il giorno della battaglia di Nikolajewka nel gelo mordente del terribile inverno russo. E lui era là.
Vincenzo Nodari, nativo di Cirano di Gandino e dal 1973 residente a Treviglio, artigliere di montagna della Divisione alpina «Tridentina», alla soglia dei 93 anni, che compie lunedì, di notte ancora oggi spesso si sveglia di soprassalto. «Mi pare di trovarmi ancora in quell'inferno – racconta –. Furono lunghe, interminabili ore. Non avevamo più la percezione chiara se fossimo persone o pupazzi di neve, che il destino si divertiva a disfare e a ricomporre. Eravamo sospinti da quell'uragano del grido del generale Luigi Reverberi: "Tridentina, avanti!". Combattemmo fino allo stremo delle forze nel paesaggio irreale che si stendeva attorno a noi: la neve e il ghiaccio tinti di rosso del sangue dei morti e dei feriti. I russi erano scomparsi come d'incanto. Noi della Tridentina avevamo compiuto il miracolo, mandando in frantumi l'accerchiamento dei nemici che, invece, avevano avuto ragione della Julia e della Cuneense».
L'alpino Vincenzo sta dettando alla nipote Claudia, 26 anni, le sue memorie; lei le registra meticolosamente al computer per poi inviare tutto alla sezione dell'Ana (Associazione nazionale alpini) di Bergamo, che sta raccogliendo i ricordi dei reduci.
Originario di Cirano di Gandino e contadino da sempre, con radici lodigiane da parte della mamma Rachele Nodari (che non aveva alcuna linea di parentela con il marito Francesco, pur avendo lo stesso cognome), dal 1973 insieme alla moglie Maria Angela Castelli (di Barzizza, frazione di Gandino dove i due si sposarono nel '45) e tre dei cinque figli (Aldo, Mario e Francesca), è sceso a Treviglio dopo aver comprato la cascina Passera. Ora, dopo essere rimasto vedovo tre anni fa, vive con la figlia – titolare dell'agriturismo «Cascina 4 roveri» di Treviglio –, il genero Luigi Suardi e i nipoti Claudia, Giampaolo e Angelo. Gli altri due figli – Pietro e Giuseppe –, che hanno prestato servizio militare come alpini, ora pensionati, vivono in Val Seriana: il primo a Cirano e il secondo a Cazzano Sant'Andrea.
Vincenzo conserva una lucidità sorprendente e legge senza occhiali. È affezionato lettore de L'Eco di Bergamo, «che mi fa conoscere le notizie della mia Valle, ma anche di tutta la provincia», e del settimanale locale «Il popolo cattolico». Regolarmente gli alpini di Treviglio lo vanno a trovare, e lo faranno anche lunedì sera per festeggiare insieme alla famiglia il compleanno: con loro si esibisce, con spigliata voce baritonale, nei canti della montagna e degli alpini. È affezionato al suo cappello, che tiene sempre in bella mostra appeso nel salottino e che indossa in ogni manifestazione a cui è invitato. «Quello originale – puntualizza – è andato perso nella Campagna di Russia; là nelle trincee e nelle azioni di combattimento bisognava indossare l'elmetto, e nel trambusto molti di noi hanno perso il cappello con la penna». Tra le cose care che conserva, mostra l'attestato d'onore e la croce di guerra.
Quando gli chiediamo se dalla Russia ha portato qualche ricordo, risponde: «La mia pelle, soprattutto, anche se con un principio di congelamento alle dita dei piedi. Ma se penso che della mia batteria, composta da 350 uomini, siamo rientrati in 85, posso certamente ritenermi contento. Non conservo alcuna foto di quel tragico inverno. L'unica della guerra è quella che mi fu scattata in Albania, quando fui mandato a combattere sul fronte greco-albanese». Non gli servono foto. Ha inciso nella mente quelle date: chiamato in servizio di leva a Merano il 13 maggio 1937, come alpino artigliere da montagna della Divisone Tridentina, fa ritorno a casa il 17 agosto 1938. Il 27 agosto 1939 è richiamato alle armi a Venasca, in Piemonte, da dove l'8 dicembre 1940 parte per il fronte greco-albanese. Il 1° luglio 1941 s'imbarca a Durazzo per Bari, dove i militari ricevono la visita di Benito Mussolini; il 6 luglio 1941 gli viene concessa la licenza, poi torna in Piemonte, da dove il 23 luglio 1942 viene inviato in Russia: il 5 agosto raggiunge Popovka, il 23 ottobre un altro fronte; il 1° dicembre 1942 è sulle sponde del fiume Don.
A metà gennaio 1943 inizia la ritirata: accampamento in località Nikolajewka; la sera del 25 gennaio va in perlustrazione una pattuglia, che non farà più ritorno; all'alba del 26 gennaio il Battaglione Edolo arriva in rinforzo; si combatte tutto il giorno: «Tridentina, avanti!» urla Reverberi; si combatte fino al 3 febbraio e il 5 inizia la lunga marcia per il ritorno verso l'Italia, a piedi per 1.250 chilometri. Durante l'interminabile marcia, molti feriti muoiono e vengono lasciati ai margini delle strade: i campi gelati diventano cimiteri di uomini, che paiono scolpiti nel ghiaccio.
Il 21 marzo finalmente arriva a Osoppo, in provincia di Udine, dove i soldati sono sottoposti alla quarantena. Vincenzo riesce a salire su un treno che lo porta a Gazzaniga, alle soglie di casa. Fine di un incubo. Lo vanno a prendere alla stazione la mamma e il papà, con le tre sorelle Martina, Rita ed Ester (morta qualche anno fa): «Non mi riconobbero subito. Ero un fantasma. Però ce l'avevo fatta. Ho resistito al freddo grazie alle molte calze di lana che mi aveva confezionate mia mamma; durante la ritirata si cercava di sfilare i valenki (i tipici stivali in feltro, ndr) dai piedi dei russi morti. Quando si incontravano le isbe, ci fermavano brevemente per cercare qualcosa da mangiare. Sulla mia slitta viaggiava anche l'ufficiale Giuseppe Capriata, anche lui di Gandino, morto una quindicina d'anni fa».
Poi la vita ricomincia. Ricomincia la storia d'amore con Maria, che Vincenzo aveva conosciuto a Barzizza un giorno di festa: «Era il 10 settembre 1938» annota con la sua straordinaria memoria.
«Una volta arrivati a casa ci salutavano come eroi, ma noi pensavamo a quanti dei nostri avevamo lasciato alle spalle». E Vincenzo li porta nel cuore ancora oggi.
 

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Saverio Volpe

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