Qualità, con un pizzico di spirito artigianale

Il punto di forza nel fare impresa oggi è capire la situazione, anticipare i tempi e operare con elasticità.Per la filatura cardata di Gandino l'innovazione passa attraverso nuove collezioni e gamme di colore

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07/08/2005
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Il reparto filati della FAB Spa di Casnigo: l'azienda presieduta da Mauro Colombi negli ultimi anni ha triplicato le quantità prodotte attraverso l'investimento tecnologico e la formazione del personale (foto Fronzi)

Si definiscono «i cinesi della Valle Seriana». Non per scaramanzia, ma perché grazie alla loro struttura aziendale (che poi è quella di chi, oggi, è ancora sulla piazza) hanno mandato gambe per aria fiorenti aziende inglesi, che campavano da secoli sulle tessiture. Anche se ripetono all'infinito che «oggi ci siamo e che tra tre mesi (facciamo gli scongiuri) potremmo non esserci più». «Se esistesse infatti una ricetta per andare bene o per non fallire qualunque società cercherebbe di metterla in pratica, ma non c'è» commentano tra il serio e il faceto Mauro Colombi, classe '62, presidente del consiglio di amministrazione da 13 anni nell'azienda, e Flavio Campana, classe '56, direttore tecnico e da 32 anni nell'azienda di Casnigo. C'è un misto di ironia, ma anche di padronanza del mestiere e di orgoglio nel loro modo di parlare della FAB. Ogni reparto si presenta in ordine e l'officina meccanica, diretta dal signor Gianmarco Colombi, è un vero gioiellino. «Manca solo il cartello: "Qui si aggiustano orologi svizzeri"» ridono.
Potete descrivere l'azienda?
«La FAB Spa, 70 dipendenti e oltre 9,5 milioni di fatturato, è una filatura cardata che produce filati misti lana termofissati utilizzati per la produzione di moquette e tappeti. Il cuore dell'azienda è la "mista", ovvero là dove arriva dal laboratorio la "ricetta" e bisogna creare il mix di colori. A noi piace studiare e fare le cose difficili, cose nuove, senza mai copiare da altri».
Secondo voi allora uno nasce imprenditore?
«Uno nasce come è. Poi per diventare imprenditore ci sono vari passaggi».
E per lei, signor Colombi, quali sono stati?
«Col cugino Gianmarco abbiamo rilevato nel 1992 le quote sociali dell'allora Filatura Artigiana Bergamasca srl. L'azienda, che c'è dal 1955, presentava allora una capacità produttiva di circa 80 tonnellate al mese di filato e che noi nel corso degli anni abbiamo quasi triplicato, grazie al nuovo insediamento produttivo nella sede di Casnigo ed alla incorporazione nella FAB Spa (che è la nostra nuova denominazione e ragione sociale) della Columbus srl di Gandino, la società tessile dei nostri genitori, poi convertita verso le nostre produzioni. Attualmente abbiamo 3 linee di carderie a Castigo e due linee di carderia a Gandino, con 4 linee di termofissazione».
Come si spiega la vostra capacità di resistere mantenendo una significativa nicchia di mercato di fronte alla crisi di settore che è sotto gli occhi di tutti?
«Non bisogna pensare a chissà quali ragioni. Un tempo da queste parti erano tutti copertai e 20 anni fa chi è stato capace di trasformare la propria produzione, per esempio passando ai filati, oggi resiste. In qualche modo oggi maturano le scelte di 20 anni fa. Poi bisogna essere capaci di portare avanti i prodotti, anche se c'è sempre da migliorare come qualità, quantità e personale. Ma alla base di tutto c'è l'artigianalità nel modo di concepire l'attività, anche se lavoriamo nel settore industriale. Altrimenti non si spiega il perché fino a pochi anni fa c'erano 80 forse 90 linee di carderia e oggi nella zona ne resistono solo una ventina. Perché quelle che hanno resistito nei momenti di transizione anche oggi ce la fanno. Ovviamente cerchiamo di soddisfare i clienti oltre che con la qualità del prodotto anche con il servizio, dando la nostra massima disponibilità per lo studio di nuove collezioni o nuove gamme di colori ma anche cercando di evadere gli ordini in tempi brevi. Il nostro punto di forza è l'elasticità. Nella Valle inoltre si è creata una sorta di diversificazione «naturale» del lavoro anche tra noi filatori: uno produce fili grossi altri più sottili; c'è poi chi fornisce il settore maglieria, moquette, coperte, filtri e altro».
Oggi è forse il momento di cambiare ancora?
«In questi anni abbiamo triplicato la quantità di produzione, aggiornando e migliorando le macchine, qualificando sempre di più il personale. A suo tempo la strada è stata scelta e oggi c'è spazio per il perfezionamento: le prime macchine di termofissazione, 15 anni fa, le abbiamo installate noi. E quelli che sono rimasti magari a fare coperte ora le fanno meglio e a costi adeguati».
Dal vostro punto di vista che prospettive vedete?
«Oggi non è più possibile pianificare la produzione per alcuni mesi, come avveniva ancora fino a 5-6 anni fa. Il lasso di tempo si è ridotto, quindi abbiamo dovuto cambiare anche modo di produrre per soddisfare i clienti che hanno bisogno urgentemente dei nostri filati. Inoltre, prima gli articoli duravano nel tempo (anche per 4 anni). Oggi invece tutto nasce e muore nel giro di una produzione e occorre essere costantemente disponibili a cambiare colori e materiali. Quindi se prima potevi ripianare gli investimenti, in macchinari e ricerca, in 4-5 anni di lavoro, oggi di fatto si opera in "pronto consegna", un sistema che era impensabile ipotizzare anche solo 3 anni fa. Per questo parlare di prospettive, in questa fase, non è realistico».
E quali sono le vostre maggiori preoccupazioni?
«Oggi si opera sicuramente in modo molto più stressato, perché dedichi molto più tempo al lavoro e hai sempre dentro l'ansia di capire tra un mese come saremo messi. Poi se "entra" un altro ordine, del tutto non previsto pur chiedendoci come faremo a rispondere, lo accettiamo e questo pone ulteriori problemi organizzativi e di gestione, ma che ormai siamo tutti ben contenti di accettare».
Come valutate le vostre maestranze?
«È uno degli aspetti che richiedono più tempo ma che danno più soddisfazione. Oggi infatti, più che mai chi rimane in azienda capisce quanto sia importante la sua presenza e il suo lavoro, anche se deve a sua volta dimostrare la stessa versatilità e disponibilità dell'azienda».
Scrive Giorgio Vittadini nel volume «Un "io" per lo sviluppo»: «Custodire e incrementare il desiderio nell'uomo che lavora e investe è la condizione per favorire un'esistenza che persegua e compia il proprio destino, e nello stesso tempo sia la premessa per un nuovo sviluppo».
«La cosa veramente importante è che riusciamo a lavorare tutti a stretto contatto: presidente, direttore, consigliere d'amministrazione, tutti si agisce gomito a gomito con i dipendenti, che poi sono quelli che mandano avanti veramente l'azienda. E loro capiscono bene che se lavorano bene ne hanno a loro volta dei vantaggi. All'inizio abbiamo incontrato difficoltà a integrare le maestranze dei vari settori, oggi, chi più chi meno, hanno imparato a dire le cose che vanno e quelle che non vanno, e tra noi si è instaurata una stretta collaborazione che si vede nel clima aziendale e nella produzione. Cerchiamo di seguire direttamente anche la fase "vendita" con lo stesso clima di collaborazione fra fornitore e cliente, supportata a volte dall'agente. Questa ci sembra un po' la traduzione concreta delle frase che citava».
Quanta importanza assegna alla formazione? Come fate formazione in azienda?
«È un momento assolutamente essenziale. Diciamo che un tempo in Valle trovavamo un cardatore dall'oggi al domani, oggi ce ne sono pochissimi, perché non sono sufficienti 3 mesi di affiancamento per formarne uno che sia responsabile della sua macchina. Ci vuole l'esperienza di anni per diventarlo. Da noi abbiamo inoltre delle significative esperienze di formazione sia per portatori di handicap che sul piano della sicurezza».
Cosa pensa delle politiche adottate o in fase di adozione a difesa del tessile?
«Purtroppo si tratta di palliativi perché in giro si trova di tutto, anche la copia dei marchi degli altri, ma forse può servire a tutelare la produzione nazionale. La nostra ricetta però si basa non su interventi altrui ma sull'esperienza che abbiamo accumulato negli anni e che è ciò che ci permette di risolvere i problemi che sorgono. Perché è una scuola continua trovarci davanti a dei nuovi quesiti. Come dimostra il fatto che 20 anni fa il cardato come idea era stato scartato da tutti e che ora invece è il cardine della nostra produzione».
Che cos'è per voi il lavoro?
«Beh, non possiamo dire che sia solo il fattore economico perché sarebbe una grande bufala. Stiamo in azienda in media dieci ore al giorno (se serve anche il sabato). Principalmente allora il lavoro è la soddisfazione davanti al cliente che dice: "Avete fatto una grande cosa!". Poi ci sono dei momenti di delusione, di troppo lavoro, di difficoltà. Anche se a casa cerchiamo di non portare né i problemi né gli entusiasmi. Da un punto di vista generale però occorre dire che se vogliamo andare avanti oggi dobbiamo tornare indietro, ridimensionarci e verificare davvero ciò che è utile e ciò che non lo è. C'è un modo per esempio di intendere la qualità che è solo il passare le carte da un ufficio all'altro. E questo non serve».
Qual è o quale dovrebbe essere il ruolo degli istituti di credito?
«È un ruolo importante, perché se abbiamo fatto qualcosa è pure grazie al loro contributo, anche se è chiaro che loro non ci perdono mai. Oggi però anche in Valle sono arrivati un po' tutti gli istituti e c'è una grande concorrenza tra di loro e dunque anche noi li possiamo mettere in concorrenza cercando di spuntare le condizioni migliori che ci offrono».

Autore: 

Ambrogio Amati

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