Preti di strada da qui alle Ande

Bolivia: Il vescovo Gelmi e don Eugenio Coter a Cochabamba«Siamo il volto visibile dell'amore di Dio tra gli ultimi»

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Data pubblicazione: 

06/11/2011
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Monsignor Angelo Gelmi con i bambini boliviani. Partito da Gandino, ha vissuto per anni tra i campesinos

Sulle strade polverose della regione di Cochabamba in Bolivia – con saggia esperienza e dinamica azione ben miscelate – operano monsignor Angelo Gelmi, vescovo ausiliare, e don Eugenio Coter, responsabile della «Pastoral Sociale Caritas» dell'arcidiocesi.
Il primo è nato a Gandino nel 1938 ed è vescovo dal 1985, mentre don Eugenio, classe 1957, è originario di Semonte ed è in Bolivia dal 1991, dopo essere stato curato a Gandino, dove incontrò monsignor Gelmi. Gandino è un crocevia particolare per la missione bergamasca in Bolivia: qui è stato curato sino al 2007 don Andrea Mazzoleni, oggi a Munaypata alla periferia di La Paz, e qui è nato e cresciuto don Alessandro Manenti, impegnato a Santa Cruz dove è stato ordinato nel 2002. La strada è un'immagine efficace per sottolineare l'impegno sacerdotale e missionario e ricorre anche nelle parole di don Eugenio. «Ricordo che nel 1981, nei giorni dell'ordinazione sacerdotale, vedevo l'arrivo di questa tappa come chi va in montagna e raggiunge il passo. Non era una meta ma una tappa del cammino. Così ho cominciato a chiedere dove era la strada per Grassobbio (dove è rimasto come vicario parrocchiale fino all'85, ndr). E dopo quattro anni sono arrivato a Gandino (fino al '91, ndr). Per quello non ho chiesto la strada perché la sapevo. Dopo sei anni a Gandino, ho guardato sulla cartina dov'era la Bolivia. E altre volte, in Bolivia, ho dovuto chiedere la strada. Se mi guardo indietro, vedo tanti volti e tante storie».
La strada di monsignor Angelo Gelmi è lunga e parte nel 1968 con l'ordinazione sacerdotale. «Sono partito per la Bolivia il 19 luglio 1970. La mia prima destinazione è stata la città dei ragazzi a La Paz, struttura di proprietà governativa. La "Ciudad del Nino" era gestita da don Berta del Patronato San Vincenzo ed era sotto il controllo dei militari. Lì la vita non era facile: spesso mancava il cibo e non c'era la possibilità di intraprendere un serio cammino di formazione cristiana. Don Berta mi lasciò solo alla città dei ragazzi, per fondarne una nuova a Cochabamba. Rimasi lì per 5 anni dopodiché, colpito dall'incontro con i campesinos delle montagne che vedevo arrivare in città carichi di fagotti, chiesi al vescovo di poter andare a vivere con quella gente. Vissi con loro molti anni (la mia abitazione era una capanna) e ne assunsi alcune usanze: in questo modo mi guadagnai la loro fiducia e amicizia. Imparai anche la loro lingua. Nel 1985 fui nominato vescovo ausiliare di Cochabamba, ma il mio rapporto con i campesinos delle montagne continuò e tuttora mi trovo spesso a fare viaggi di molte ore in jeep per raggiungere le comunità più lontane. In questi anni sono nati e cresciuti gli Internados di Tapacarì e Titagallo, lo slancio di generosità dei bergamaschi è incredibile. Ma c'è sempre molto da fare».
La caparbietà è il tratto distintivo di monsignor Gelmi e di don Coter. Il primo è ripartito per le Ande da qualche settimana, dopo un «pit-stop» suggerito dai medici, ma non mette in conto di ridurre il ritmo, nonostante quello del suo cuore qualche volta acceleri un po' troppo. Monsignor Angelo tira dritto, come quella volta all'aeroporto di La Paz quando venne circondato dai servizi di sicurezza. «I metal detector segnalavano nella mia valigia la presenza di una grande quantità di metallo. In effetti avevo lasciato a casa giubbotti e camicie per far posto alla pompa di un acquedotto che doveva essere riparata in Italia. Al doganiere dissi con naturalezza che la valigia conteneva una "bomba" (termine spagnolo per tradurre pompa) e da qui nacque l'equivoco con relativi sorrisi finali». Don Eugenio si è trovato spesso in situazioni «esplosive», soprattutto nell'occasione della Guerra dell'Acqua, che nel 2000 vide il sollevamento dell'intera città contro la privatizzazione della gestione idrica cittadina per mano della statunitense Bechtel. L'impegno è quotidiano e raggiunge anche e soprattutto «gli ultimi fra gli ultimi», nel carcere di San Antonio a Cochabamba e in altri cinque penitenziari della città. «L'importante – dice – è essere il volto visibile dell'amore di Dio per i poveri e diventare espressione dell'amore della Chiesa attraverso la carità».

Il viaggio dei giovani
«A La Paz per riscoprire cos'è la vita»

Una vacanza diversa, per ritrovare quel «don» conosciuto in oratorio e cercare il meglio di se stessi. Sette giovani gandinesi hanno scelto la Bolivia quale meta per le vacanze estive, decisi a condividere l'esperienza missionaria di don Andrea Mazzoleni nella parrocchia di Munaypata, alla periferia di La Paz. Don Andrea, originario di S. Omobono Imagna, è stato curato a Gandino dal 2001 al 2007, prima di raggiungere le Ande e i campesinos. Da Gandino sono partiti Aldo, Enrico. Nicola, Manuela, Valentina, Sara e Marianna. «Nei giorni trascorsi laggiù – racconta Manuela Loglio – abbiamo vissuto i ritmi della parrocchia, toccando con mano quanto i nostri sacerdoti fanno per la gente del posto: gli uomini giusti al posto giusto». Qui si vede in concreto la solidarietà dei bergamaschi, che sostengono tanti progetti, come quello della mensa per i bambini. «Alcuni di noi – sottolinea Manuela – sono partiti con delle certezze che sono state sgretolate sotto i nostri occhi. La gente incontrata ti fa capire che c'è bisogno di altro, che abbiamo bisogno di altro, di fermarci, di assaporare la vita».

Autore: 

Giambattista Gherardi

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