Per un attimo il mondo vivo rimase immobile

Una meditazione di mons. Lorenzo Frana che raccolse nel mondo una collezione di grande valore

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Data pubblicazione: 

23/12/2015
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Un presepe di area ortodossa di fine ’800, con pellicce e preziosi
Una straordinaria Madonna con il bambino indonesiana cesellata nel legno

«Ecco che io, Giuseppe, camminavo e poi non camminavo più. Ma ecco, ora non camminavo più! Alzai gli occhi: l’aria era immobile; immobili le stelle nella volta celeste e fissi gli uccelli del cielo. Guardai la terra intorno a me. Vidi una scodella; degli operai appoggiati sul fianco vi intingevano le mani; quelli che camminavano, non camminavano più; quelli che portavano il cibo alla bocca, non lo portavano più. I loro volti erano rivolti in alto.
C’erano anche pecore che venivano condotte al pascolo: non procedevano più, ma restavano immobili mentre il pastore levava il braccio per percuoterle, ma il braccio restava levato, immobile. Osservai la corrente del ruscello. Vidi dei capretti, con i musi appoggiati all’acqua, ma non bevevano.
Tutte le cose furono sconvolte in un istante
».

Parole poetiche
Queste parole poetiche, tratte dal XVII capitolo del Protovangelo di Giacomo descrivono lo stupore del creato nel momento della nascita di Gesù. Solo il fiume continua a scorrere, simbolo del movimento ininterrotto della vita; tutto il resto rimane immobile: gli esseri viventi sembrano trasformarsi in statue mentre il Verbo di Dio, fatto uomo, appare nel mondo da Lui creato.

Espressioni di meraviglia
Questo istante così fissato è forse una delle più belle descrizioni del presepio, dove troviamo personaggi immobili con un’espressione di meraviglia o di estasi sul volto, altri con gli occhi brillanti di gioia e il sorriso sulle labbra mostrano la loro impazienza nel rendere omaggio al Bambino, mentre agli animali si attribuiscono sentimenti quasi umani, l’asino e il bue, le pecore e gli agnelli che sembrano camminare ma non camminano affatto, sembrano brucare l’erba ma non brucano, sembrano ruminare senza tuttavia farlo.
Le pale del mulino hanno smesso di girare; l’acqua dei ruscelli, simulata con carta stagnola, non scorre e lo stagno, un semplice frammento di specchio, non è nemmeno lievemente increspato da minuscole onde. Ma a chiunque guardi un presepio è comunque facile immaginare ciò che non si vede: le pecore al pascolo che brucano o ruminano, gli agnelli saltellanti. Si possono vedere girare le pale del mulino e immaginare lo scorrere dell’acqua o persino percepire il mormorio del ruscello e i belati delle greggi. Il presepio è immobile, ma allo stesso tempo vivo!
Il Codice Arundel descrive in modo differente la fissità del creato al momento della nascita di Gesù: «Nel più grande silenzio, in quel momento si fermarono, tremanti tutte le cose: cessarono i venti, non dando più il loro soffio, sugli alberi non si mosse più alcuna foglia, non si udì più il rumore delle acque, si fermarono i fiumi, cessò il flusso del mare, tacquero le sorgenti, non risuonò più voce alcuna umana. C’era un gran silenzio ».
Il testo del Protovangelo è certo migliore, tuttavia il Codice Arundel (XIV secolo) pone l’accento sul silenzio che troviamo nella già fissata liturgia di Natale da cui quest’ultimo certamente dipende. La seconda antifona dei Vespri del 26 dicembre canta: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la Tua Parola onnipotente è scesa dal cielo».

Ogni anno un posto diverso
Il Natale si avvicinava. Le stagioni, a quei tempi, sembravano alternarsi in modo più regolare. La neve copriva spesso voi campi e le montagne attorno al mio paese. Talvolta nevicava a novembre. Bisognava dunque affrettarsi ad allestire un presepio in una stanza della casa, nella sala da pranzo o nella camera accanto.
Avvenimento di cui ancora oggi serbo il ricordo, rivivendo le emozioni, i fremiti dell’eccitazione infantile e lo stupore di vedere nascere, a poco a poco, il presepio nel vasto camino o sulla mensola sotto la grande finestra della sala da pranzo. Talvolta veniva collocato su un tavolinetto o su un comodino, oppure su una cassapanca. Era tassativo cambiare ogni anno la posizione del presepio. Il giovedì mattina, giorno di riposo scolastico, o il sabato pomeriggio precedente il giorno di Natale noi bambini ci recavamo nei campi, sotto gli alberi o negli anfratti umidi ai bordi dei ruscelli, che scorrevano chiacchierini ai piedi delle montagne, incaricati di procurare il muschio indispensabile per creare il paesaggio.
Al ricordo del freddo pungente che colpiva mani e piedi, la punta del naso e le orecchie, mi sembra ancora di sentire i brividi! Per non parlare del rischio di prendersi i geloni. Una volta stabilito l’angolo in cui allestire il presepio, il primo compito dei bambini era quello di raccogliere pezzi di legno: piccoli ceppi, tronchi o sezioni di grossi rami tagliati a misura per la stufa di casa. Da noi la legna veniva conservata nel granaio, al terzo piano della casa! Era davvero un compito laborioso scegliere i ceppi di abete, castagno, faggio e rovere più adatti, caricarli e scaricarli al piano terra, dopo avere montato e sceso una scala piuttosto ripida.
Ma con che zelo e che gioia!

Autore: 

Lorenzo Frana

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