Accessibile a tutti il patrimonio delle chiese bergamasche. Dopo sette anni conclusa la catalogazione
Croci, ostensori, reliquiari, piviali, pianete, confessionali, pulpiti e via artisticamente discorrendo sul versante dei tesori sacri: grazie a una catalogazione certosina, oltre 250 mila opere tornano a parlare. Raccontano di committenti generosi, di tecniche artistiche dimenticate, di messaggi di fede trasmessi nei modi dell'arte. Sette anni di lavoro e 27 esperti tra fotografi, storici dell'arte, elaboratori di immagini, schedatori, hanno reso possibile una mappatura di tutti i beni della Diocesi di Bergamo.
Che siano dipinti, sculture, arredi lignei o suppellettili, a chi voglia interrogarli rivelano provenienza, autore, epoca, collocazione e stato di conservazione, oltre, naturalmente, a dettagli e informazioni sulle loro caratteristiche. «Un archivio informatizzato – spiega don Lucio Carminati, delegato vescovile per i beni culturali, che ha coordinato il lavoro – di grande rilevanza sotto il profilo storico-artistico e pastorale: scorrendo le immagini si può capire meglio un patrimonio di arte, cultura e fede che ha attraversato il tempo».
Per restituire la voce della storia e della spiritualità ai tesori dell'arte sacra, la diocesi di Bergamo ha risposto all'invito della Cei. Parola d'ordine: tutelare il patrimonio. Tradotto in numeri, l'impegno ha comportato una spesa complessiva di quattro milioni di euro, di cui un terzo a carico delle parrocchie sulla base degli oggetti posseduti.
«La nostra diocesi – prosegue don Lucio – è stata la prima in Italia a iniziare l'inventariazione delle opere distribuite nelle 389 parrocchie del territorio». Era il 1996. «La conservazione e tutela di un patrimonio tanto ricco – precisa don Lucio – richiede grandi sforzi, anche sotto il profilo economico. Per questo dobbiamo esprimere gratitudine verso i parroci che hanno saputo comprendere il significato dell'iniziativa per la valorizzazione di beni tanto preziosi sul doppio versante dell'arte e della tradizione di fede». Ogni scheda è corredata da una o più immagini digitali che consentono di (ri)scoprire l'oggetto inventariato e di esplorare il territorio sulle tracce dei suoi tesori. Una mole di informazioni accessibile a diversi livelli grazie all'accordo stipulato con la Provincia per l'immissione della banca dati su Internet.
«Basta percorrere il territorio bergamasco – sottolinea l'assessore provinciale alla Cultura Tecla Rondi – per rimanere sorpresi dalla qualità e quantità delle testimonianze artistiche e culturali presenti». Ma siccome i bergamaschi non sono sempre consapevoli delle loro ricchezze anche la navigazione telematica può essere d'aiuto: «Attraverso Internet studenti, ricercatori, biblioteche o semplicemente persone curiose di conoscere la terra orobica possono accedere a un patrimonio straordinario». Tradotto in vecchie lire, l'impegno della Provincia si è concretizzato in 550 milioni, a cui se ne sono aggiunti altri 40 provenienti dalla Regione Lombardia per l'hardware.
Basta un clic e dalla scrivania di casa si apre una finestra sulle migliaia di opere disseminate nelle chiese. Lo sterminato inventario è accessibile dal sito Internet della Provincia (www.provincia.bergamo.it): tra i servizi on line si clicca su «Beni culturali» e si accede al sito web dei beni culturali della provincia e della diocesi di Bergamo. Un programma automatico guida i navigatori nella ricerca: basta inserire l'epoca o il tipo di oggetto e il sito fornisce in tempo reale le risposte desiderate. La banca dati è interrogabile secondo diverse chiavi di lettura, capace di svelare dati nuovi.
È successo con alcuni inediti di Fra' Galgario «scoperti» in occasione della mostra dedicata all'artista bergamasco: incrociando dati e informazioni, osservando e raffrontando, è stato infatti possibile risalire a tracce che riportavano dritti dritti alle opere di Vittore Ghislandi conservate in qualche chiesa della provincia.
«È un progetto in espansione – puntualizza Tecla Rondi – attraverso conferenze sul territorio e cd rom per itinerari tematici. L'intento è quello di mostrare al fruitore oggetti e significati che non vede abitualmente, di aiutare a leggere la dimensione spirituale nell'opera d'arte offrendo al tempo stesso nuovi stimoli per scoprire i tesori della Bergamasca». Insomma, un percorso che non si ferma alla fruizione tout court: perché osservare significa anche capire e indagare. «I parroci – aggiunge l'assessore – hanno saputo costruire una mentalità a favore della conservazione, della tutela e del restauro, ma è altrettanto importante far rivivere agli occhi della gente un quadro bello e restaurato».
Esemplare la storia dell'arazzo conservato nel museo della basilica di Gandino. L'origine riporta a Bruxelles nel 1580 tra i maestri nell'arte dell'arazzo: la committenza si deve a un nobile gandinese, tal Bartolomeo Castello, che pensò bene di affidare la propria generosità all'élite delle manifatture europee. Commissionata, realizzata. La «Presentazione al tempio», tessuta da mani esperte e raffinate, era pronta ad adornare la vecchia chiesa parrocchiale di Gandino. Simbolo insieme della ricchezza del paese e della magnanimità del donatore, offriva ai fedeli un esempio di vita cristiana di immediata lettura. Basta interrogarla e la storia restituisce usi e costumi tra arte e fede del tempo. Grazie agli inventari, oltre 250 mila oggetti sono stati contati, numerati, descritti, ma la storia continua sulla via della conoscenza.
«Affidata la cura dei beni storico-artistici ai parroci – precisa Silvia Muzzin, storica dell'arte impegnata nel lavoro di catalogazione, occorre ora trovare idee nuove per promuovere e valorizzare l'immenso patrimonio di bellezza disseminato sul territorio». Insomma, la mappatura certosina registra dati e dettagli, le nuove tecnologie svelano il tesoro: la curiosità fa il resto «vis à vis» con l'opera d'arte. E il patrimonio dimenticato torna a vivere.