Manolo, una vita no limits in parete

Maurizio Zanolla, trentino, il pioniere del free climbing divenuto famoso grazie a uno spot, si racconta «Non mi piace la logica delle gare. La meta non è la cima, è il viaggio, il mondo che ti risuona dentro»

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21/05/2005
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Manolo, all’anagrafe Maurizio Zanolla, 47 anni, trentino di Fiera di Primiero, è il simbolo del free climbing in Italia (foto Rottigni, Gandino)
«Ciao, Manolo». Giaccone di velluto beige, pantaloni da trekking rossi, sandali, capelli corti brizzolati, un'abbronzatura che solo la montagna, quella vera, mica la Maresana. E poi due parole, secche, e la stretta di mano. Secca anche quella, ci mancherebbe.
«Ciao, Manolo». E lui, all'anagrafe (e solo a quella) Maurizio Zanolla, l'uomo dello spot Sector, il pioniere, il mito del free climbing, 47 anni, tre figli, «un auto, un furgone, una casa in cui stiamo un po' stretti in quattro: l'ho costruita io facendo arrivare il materiale con la teleferica, perché, sa, non c'era la strada», si presenta così. È a Gandino per una serata da proiettore e scalate, le sue, regalate agli occhi degli aficionados del Gruppo Koren Cai Valgandino, a corredo della due giorni di Coppa Italia Bouldering.
Mito, uomo-spot, pioniere che sia, ci hanno detto che Manolo, trentino di Fiera di Primiero, è pur sempre uomo di montagna e quindi sta un po' sulle sue. Storie. Manolo parte ed è un fiume in piena. Ti aspetti l'alpinista, l'arrampicata dello scalatore, finisci dentro la scalata alla via, il viaggio come meta, filosofia della montagna e non. Un incanto.
L'inizio. «Ho iniziato ad arrampicare a 17 anni, oggi a 14 anni ci sono ragazzi che fanno cose che io ho imparato in 14 anni. Ma allora, trent'anni fa, precorrevo i tempi».
Manolo. «Soprannome di ragazzino, che con la montagna non c'entra nulla. Me lo sono tenuto e con questo vado in giro».
Sector I. «Dopo quello spot mi sono attirato addosso critiche di ogni tipo dal mio ambiente. All'inizio mi hanno infastidito, perché le salite sui campanili o sui monumenti storici sono cose serie, non pagliacciate. Poi ci ho fatto il callo, come il fatto di essere riconosciuto all'autogrill, io scalatore, figuriamoci».
Sector II. «Una volta, mentre ero in parete, l'elicottero che girava sopra di me finì il carburante e tornò indietro. Cosa feci? Arrivai in cima e mi misi seduto, mica potevo aspettare sulla verticale. Ma presi le cose come andarono. Nonostante le critiche, non ho fatto i soldi con quella roba: rinunciai a contratti migliori per poter essere libero».
Le gare e i colleghi. «Non mi piacciono le gare, perché non mi piace la logica della gara. La meta non è la cima, è il viaggio, quello che resta dentro di te, il mondo che ti risuona dentro. I colleghi? Non amo l'ambiente, ho ricevute tante critiche, alcune ridicole. Nessuno si arricchisce nel nostro mondo».
Internet. «Non ho un sito, è vero. Ho il computer, ma non lo uso mai, ho il videoregistratore ma non lo so usare. Io abito accanto a un bosco, un sito sarebbe come avere un diploma appeso al muro, che mi serve?».
Alpinismo e arrampicata. «Non ho mai scalato un 8mila, sono stato una sola volta in Himalaya. Mi ha sempre attratto di più la verticalità. I pensieri in scalata? Nessuno, quando sei in parete non puoi farlo. È il corpo a dover pensare per te».
Cani morti. «Il nome della via aperta sulle Dolomiti con Scarian, è un riferimento ironico a noi due, come a dire ecco qui due tipi allo sbando. Volevamo smitizzare un po' la faccenda».
Alpinismo da ricchi. «Una volta mi hanno chiesto di portare in cima un cliente, ho detto no, altri colleghi lo fanno, ognuno fa quello che crede. Ma la montagna non è una cosa, non uccide nessuno, non si compra. È una realtà viva, va rispettata».
Manolo II e l'avventura. «Ho spremuto troppo il mio fisico, ora ne pago le conseguenze. Ma mi tengo stretta l'avventura, che è quel viaggio che sai quando parti ma non se ritorni. Tutto il resto è quotidianità».
«Manolo, sono le nove meno un quarto», ci destano dal sogno. «Ma come, avevamo parlato di dieci minuti», ci guarda lui, con sorriso smarrito. «Adesso scusi, ma devo andare». Già, proiettore e aficionados l'aspettano. La nostra scalata è finita, ma cima o meno, è il viaggio che conta. Vero?

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