L’uomo che volle farsi imperatore

LA MORTE DI GIANNI RADICI

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Data pubblicazione: 

21/10/2005
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L’autunno dei Patriarchi lascia nostalgie di estati folgoranti che addolciscono il dolore.


Gianni Radici è morto un pomeriggio di ottobre, nell’autunno della vita.

Ha trasformato un settore, quello dei "copertini", sostanzialmente artigianale e addirittura familiare, in un’industria, portando in Valgandino tutta la produzione, sedendo con i potentati economici della terra, ma conservando la consapevolezza delle radici (il cognome era predestinazione) in paese.


"Non l’hanno dimenticato". Luciana Previtali Radici, la "regina madre" dell’impero Radici, è nella grande casa sulla collina che si inerpica dietro Leffe, Il Patriarca non c’è più, non c’è più l’uomo che ha costruito l’impero, l’uomo che ha amato e ama, pur nel pudore delle parole, con i lucciconi delle lacrime che annebbiano il presente, favorendo il flashback sul passato.

Gianni Radici sembra ancora qui, nella sala da pranzo dove si sta preparando la cena di un sabato di ottobre, il suono dei campanacci delle mucche al pascolo poco sotto, due cascine sul giogo, una strada che sale, sale e a un certo punto la villa e dentro la villa una grande tavolata, perché nelle famiglie patriarcali si mangia tutti insieme, ci si sorregge a vicenda e a capotavola per un momento sembrerà di doverlo ancora aspettare. "In tanti anni di matrimonio non è mai mancato, alle 12 e alle 7 di sera si mangiava insieme".

Questa sera non ci sarà. Sono passati pochi giorni, funerali imponenti:"Hanno ricordato l’uomo che era prima, meraviglioso, un po’ me lo aspettavo, ma avevo paura l’avessero dimenticato, no, non le persone importanti, lui era uno che gli amici li aveva tra i dipendenti". Ma le assenze pesano di più nel tempo, all’inizio c’è il dolore forte, è nei giorni successivi che spuntano i "vuoti", i piccoli gesti quotidiani, ci si sorprende a non avere presenze, a non avere risposte, la casa che sembra più grande, più vuota.

L’aveva visto sulla piazza di Leffe, dove nel 1944 i giovanotti restati a casa, esentati dal militare, per lavoro giocavano a la "bala": "Gianni, che aveva rilevato uno stabilimento da un amico e ne aveva fatto una fabbrica di coperte, a volte faceva dei cartellini di lavoro per giovani che venivano ricercati dai tedeschi. Venivano su con un camion e fermavano i giovani per portarli via,in genere quando si sapeva che arrivavano i tedeschi, i giovani leffesi scappavano nel bosco, lui ne ha salvati tanti".

Il padre aveva un magazzino a Milano, ma era un "commerciante", niente a che vedere con l’industria. E così il fratello maggiore Gino, che aveva seguito il padre. Gianni vedeva lontano.

Così ha fondato l’impero, cominciando dalle coperte, che anche nel dopoguerra vendeva in Germania. "Sì, guardava lontano".

Luciana era una ragazza di città, "sfollata" in Val Gandino, una famiglia benestante, che a Leffe era arrivata per la minaccia di un bombardamento imminente su Bergamo. La ragazza dalla casa dello zio dove alloggiava guardava i ragazzi che giocavano a "bala" in piazza "un gioco con una palla di stracci". Una ragazza di città corteggiata, ma che non aveva messo gli occhi su nessuno in particolare.

Lavorava in banca, a Bergamo, prendeva il trenino, scendeva a Gazzaniga e poi, "quando c’era", saliva con la corriera a Leffe, "ma il più delle volte si andava a piedi. Ma dietro la corriera ricordo il galoppo di un cavallo che trainava un carrozzino, me lo ricordo quel galoppo, era Gianni che veniva a Gazzaniga con la speranza di darmi un passaggio".

Lei non si voltava a guardare, sentiva il galoppo del cavallo. Poi un giorno da Leffe, era il giorno dei Santi ("me lo ricordo perché il 13 dicembre avrei compiuto 18 anni") hanno bisogno di qualcuno che li porti a Gazzaniga a prendere il treno. Un cugino di Gianni si dà da fare, glielo procura lui qualcuno che li trasporti a Gazzaniga. Quel "qualcuno" è Gianni. Ma non si scambiano una parola "Sì, era un bel giovanotto, vestito bene, sempre con cappello e cappotto. Un giorno va da mia mamma e le chiede se può venire in casa".

E quella è la dichiarazione d’amore. Leffe era un’isola felice nella corrente della miseria: "Anche a Bergamo era difficile in quei tempi trovare il pane bianco. Noi lo avevamo perché nel Patronato, che mio padre aveva costruito per don Bepo, c’erano tutte le attività, quindi anche il forno e ci portavano il pane. Ma a Leffe ricordo che si trovava il pane bianco. Eppure tra Bergamo e Leffe al tempo c’erano almeno dieci anni di differenza, come mentalità. Fatto sta che comincia il fidanzamento. Lui era un giovane tranquillo. La sua vita era il lavoro. Era geniale, il padre era un commerciante, lui era già un industriale".

Lo prendono per matto.


"No, io non gli ho mai detto che rischiava troppo o cose del genere. Le mie amiche di città mi dicevano, ma dove vai a finire, a Leffe? Io mi sono subito trovata bene. Del resto la valle l’avevo conosciuta anche prima, da ragazza, mi portavano al Farno a sciare. Gianni era appassionato di sci e di montagna. I suoi veri amici sono stati quelli di un gruppo che lui guidava ogni domenica in montagna, quelli sono sempre stati i suoi amici. Quando dieci anni fa in Ungheria ha avuto la sua malattia e non si è potuto più muovere, anche i suoi amici hanno smesso di andare in montagna".

Dell’amore parla poco, resta il pudore dei sentimenti e delle parole che li possono esprimere. Dalle coperte ai tappeti, Gianni è un vulcano di idee, sempre leggeva nel pensiero di quello che oggi chiamano mercato, anticipa le scelte, compra telai in Belgio, li importa: "A suo padre diceva che aveva comprato magari due o tre telai, invece ne aveva comprati venti. Trattava con le banche, ma restava legato al suo paese, alla gente. Certo che conosceva persone importanti, ma gli amici restavano quelli della piazza del paese. I miei figli li mandavo in colonia, a Cesenatico, con i figli dei dipendenti. Si andava insieme in pullman. E nel 1950 per l’Anno Santo eravamo andati tutti a Roma, con tutti i dipendenti".

Insomma non era il classico "padrone", restava quel ragazzetto che veniva dietro la corriera segnalando la sua presenza con quel galoppo del cavallo o quello che giocava in piazza a "bala" con gli amici e di nascosto guardavano in su, verso il balcone, dove stava affacciata quella ragazza di città, che vestiva elegante e la gioventù del loco sognava di conquistarla.

Ma a conquistarla è stato lui, quello che guardava e vedeva lontano, Gianni Radici.

Ricordare fa male: quel giorno di dieci anni fa, quando scendendo dall’auto si è bloccato, con le gambe molli e la bava alla bocca, si è chiuso nel silenzio: "Ma io l’ho sempre capito. E capivo quello di cui aveva bisogno".

Al punto che in un primo momento dice che "ha sempre continuato a parlare. E voleva essere portato nelle fabbriche, anche se non voleva la carrozzella, si informava di come andavano le cose. Ha sempre avuto intuito. Venivano delle persone, lui ascoltava quello che ci dicevamo, mi faceva un segno indicando di tirar fuori il libretto degli assegni, capiva quando uno aveva bisogno di soldi". Gianni era rimasto leffese: "In questi anni voleva essere portato nei santuari. Era devotissimo alla Madonna d’Erbia".

Quel giorno in Ungheria era stato preceduto da un segno, "il Natale precedente era svenuto in ufficio, aveva fatto visite su visite, non gli avevano trovato niente…Quel giorno era più nervoso del solito, prima della dogana aveva detto in modo brusco di preparare i passaporti. Erano segnali. Ma era difficile fermarlo, voleva sempre guidare lui. Noi eravamo preoccupati, ma era difficile contraddirlo".

Come voleva tutti intorno alla tavola, i bambini e gli adulti.
Un vero patriarca. Che non ha fatto pesare la fortuna, l’ha condivisa con il paese, sentendosi del paese.
E il paese, anche nei lunghi anni della malattia, non l’ha dimenticato.

 

SCHEDA

Gianni Radici era nato a Leffe il 25 aprile 1924. E’ stato presidente e amministratore fino a metà anni ’90 ed era tuttora presidente onorario del gruppo chimico-tessile RadiciGroup, ereditato dal padre Pietro negli anni ’40 e poi ampliato fino a renderlo una realtà internazionale: dalle prime attività dedicate ai tessuti per la casa (produzione di coperte e tappeti), il Gruppo Radici, attraverso fasi di diversificazione orizzontale e integrazione verticale, si è espanso nei settori delle fibre sintetiche, dei tessuti, delle materie plastiche, dell’ingegneria, della chimica, del packaging e del meccanotessile. RadiciGroup, che ora è guidato dai figli Angelo, Maurizio e Paolo, è oggi strutturato in cinque divisioni - tessile, fibre, plastica, chimica e energia – e impiega circa 5.100 persone, strutturate in 49 unità produttive, dislocate non solo in Italia e in Europa, ma anche in Cina, negli Stati Uniti e nel Sud America.

Dalle Tessiture Pietro Radici è passato al Tappetificio Pietro Radici a Cazzano, alla Manifattura Automatica di Gandino, nel 1964 alla RadiciFil di Casnigo, alla Ma.Te.Ca. di Casnigo negli anni settanta, la Textile Produkte (dal 1999 RadiciFil) a Villa d’Ogna, fondando la Somet di Colzate per la produzione diretta dei telai, gettando le basi del meccanotessile (Itema group, leader mondiale del settore). In Belgio, negli anni ’70 fondava la Ralux, la Noyfil in Svizzera e la Deufil in Germania.

Negli anni ’80 ha puntato sempre più su settori come la chimica e la plastica. Nel 1981 è nata così la Radici Novacips a Villa d’Ogna (nel 1988 affiancata dalla Radici Novacips di Chignolo d’Isola). E nel 1986 ha acquisito a Novara un ex sito produttivo Montedison, ristrutturandolo e ribattezzandolo Radici Chimica: un’azienda enorme che produce acido adipico, acido nitrico e i polimeri di poliammide 6.6 che servono le filature e quindi le tessiture del Gruppo. Nello stesso periodo ha ampliato la divisione fibre attraverso la fondazione del GTR di Ardesio, specializzato nella stiro-orditura di filati tessili e elastomerici; la creazione della Texpro Due (poi RadiciFil) di Pistoia (produzione di filati di nylon 6.6); la rilevazione della Val Lesina in Valtellina (realizzazione di filati di poliestere) e l’acquisizione della Nuova Spac, poi Gorispac, nel distretto mantovano delle calze. All’estero sono state realizzate società commerciali come la RadiciPlastics France e la RadiciSoltex (stampa e vendita tessuti-non tessuti realizzati dalla Tessiture Pietro Radici) negli Stati Uniti e la Fortrose a Hong Kong. Sempre negli anni ’80 Gianni Radici ha dato vita al business dell’ingegneria, attraverso la creazione della Noy Engineering, specializzata nella progettazione e vendita di impianti tessili o chimici completi, chiavi in mano, in tutto il mondo.

Nel 1990 c’è stato l’ingresso nel settore del packaging. Gianni Radici ha creato in provincia di Udine l’Aussapol, specializzata nella realizzazione di polimeri per la produzione di bottiglie, e la Radici Film, produttrice di films plastici per l’imballaggio alimentare. Negli anni ’90 sono cominciati anche gli investimenti nel settore energetico: centrali idroelettriche, impianti per l’autoproduzione e centrali di cogenerazione a ciclo combinato turbogas/vapore (tali attività sono confluite poi nella divisione Auxiliary/Energie). Nel 1992 ha acquisito la Lurotex in Ungheria (settore tessuti). Gianni Radici ha anche investito nel terziario, attraverso l’avviamento di una catena alberghiera.

A metà anni ’90 Gianni Radici si era ritirato dalla gestione operativa del Gruppo, che ha lasciato ai quattro figli: Paolo, Angelo, Fausto e Maurizio. Nel 1975 era stato insignito della laurea honoris causa in scienze politiche ed economiche all’Università di Urbino. Nel 1985 riceve il "Premio Agordino d’oro – i discreti". Nel 1990 gli è stato conferito il Cavalierato al merito del lavoro.

Nel 2000 aveva ricevuto dall’ambasciatore belga l’onorificenza di Commendatore all’Ordine della Corona del Belgio come "premio" per i 28 anni di presenza di RadiciGroup nel suo Paese tramite la Ralux (fondata nel 1972).

Autore: 

Piero Bonicelli

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