«Io conosco Alì: lui non può essere un assassino»

Giallo di Vertova, parla l'amico del senegalese in cella «Sento tutti gli occhi addosso». Oggi l'interrogatorio

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Data pubblicazione: 

01/09/2008
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la via del centro storico di Gandino dove vive Alì Ndiogou
«Io lo conosco bene perché siamo amici dall'infanzia e sono convinto che Alì col delitto di Vertova non abbia nulla a che vedere. Non ne sarebbe capace». È la categorica affermazione del coinquilino di Alì Ndiogou, il senegalese di 40 anni di Gandino sottoposto a fermo con l'accusa di aver ucciso con trenta coltellate l'imprenditrice Maria Grazia Pezzoli, lo scorso 24 luglio a Vertova. Parole che suonano come un'appassionata difesa del connazionale, il quale oggi sarà interrogato in carcere dal gip Bianca Maria Bianchi e – se vorrà – potrà fornire la sua versione dei fatti con l'assistenza del suo legale, l'avvocato Fabrizio Fratus.

Preoccupazione nella comunità senegalese
Nella comunità senegalese di Gandino, complessivamente una settantina di persone, la notizia del fermo di Alì Ndiogou con l'accusa di omicidio volontario pluriaggravato ha suscitato preoccupazione: sposato e padre di due figli – un maschio e una femmina in tenera età – il quarantenne senegalese lavora come operaio a Leffe, alle dipendenze di una cooperativa, e per i suoi connazionali è una persona tranquilla. I componenti del folto gruppo di extracomunitari di nazionalità senegalese residenti nel capoluogo della Valgandino dicono di sentirsi al centro dell'attenzione e di provare imbarazzo e disagio. Stati d'animo, questi, vissuti in maniera particolare dai due coinquilini di Alì, col quale condividono l'appartamento al civico 2 di vicolo Crotti, zona chiamata dagli abitanti della contrada anche «Purgatorio».

«Alì non c'entra, è un uomo buono»
I tre, che provengono tutti da Dakar e sono amici d'infanzia, vivono in affitto da un paio d'anni in una casa della vecchia Gandino, dove trascorrono il tempo lasciato libero dagli impegni lavorativi. Il coinquilino che venerdì è stato accompagnato a Bergamo assieme ad Alì e nella stessa serata rimesso in libertà ha 39 anni, è sposato, padre di due figli (la famiglia risiede in Senegal) e lavora per una ditta tessile di Gazzaniga. È ancora molto scosso dalla vicenda che in parte lo ha coinvolto e non sa darsi pace: «L'arrivo dei carabinieri – racconta l'operaio senegalese, che preferisce non veder pubblicato il suo nome – ci ha colti di sorpresa e ci sono rimasto male. Siamo stati accompagnati, io e Alì, a Bergamo separatamente su macchine distinte. Sono stato interrogato e ho risposto alle domande, ma sul loro contenuto non posso dire nulla se non che ho detto la verità». Sull'innocenza del suo amico e connazionale dice di non avere dubbi: «Credo che col delitto Alì non c'entri nulla – prosegue l'operaio –: è un bravo ragazzo, tranquillo, calmo e buono d'animo, non può aver fatto quello di cui lo accusano».

«Ci sentiamo tutti gli occhi addosso»
A Gandino la comunità senegalese, anche a detta dell'Amministrazione comunale che al fenomeno degli extracomunitari ha dedicato grande attenzione istituendo la Consulta degli stranieri, è ben integrata nella comunità locale. «Sì, è vero – conferma l'amico senegalese – non abbiamo dato mai motivo di lamentele al paese che ci ospita e il nostro comportamento è sempre stato corretto, ma in questi giorni, dopo quello che è accaduto, si sentiamo gli occhi della gente addosso e ci troviamo in grande imbarazzo». Di sé e dei suoi due amici non ha molto da dire: «Passiamo in questo appartamento tutto il tempo lasciato libero dal lavoro – spiega il senegalese –. Guardiamo le trasmissioni televisive, anche quelle senegalesi grazie alla parabola, così ci teniamo informati di quanto accade nella nostra patria. Con le famiglie della contrada c'è un buon rapporto: ci salutiamo e ci portiamo rispetto reciproco. Non abbiamo mai avuto questioni con nessuno e nessuno si è mai lamentato di noi».

«Spero che prendano il vero assassino»
Come per gli altri stranieri residenti in Valgandino, i senegalesi, che sono particolarmente apprezzati, rispetto ad altri, per la laboriosità e la tranquillità di carattere, la vita trascorre tra il lavoro e la casa, qualche periodico rientro in Senegal per rivedere la famiglia, poche distrazioni perché i soldi guadagnati servono per mantenere la moglie e i figli. «Spero – conclude l'amico di Alì Ndiogou – che il vero assassino venga preso e che il nostro amico venga liberato».

Autore: 

Franco Irranca

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