Il gandinese che nel 1918 entrò per primo a Rovereto

LA STORIA

Pubblicato da: 

|

Data pubblicazione: 

06/11/2009
|

Letture: 

2171

Nella XXIX squadra d’assalto degli “Arditi Fiamme Verdi” (Alpini) quella sera c’era un gandinese.
Questa squadra, come è dimostrato e certificato dalla foto qui pubblicata, ricavata dal periodico dell’ANA L’Alpino” dello scorso mese di marzo, fu la prima ad entrare la sera del 2 novembre 1918 nella città di Rovereto (Trento), mettendo in fuga un reparto militare austriaco, ormai stanco e stremato. Il gandinese in oggetto, presente in detta squadra (il primo a sinistra nella foto) si chiamava Carmelo Noris, nato a Gandino il 16 luglio 1900, della famiglia dei “Coso”, da Francesco e Rosa Moro di Peia, penultimogenito di 4 fratelli e 5 sorelle.
Da ragazzo frequenta le scuole elementari del paese fino alla classe terza e, all’età di appena 10 anni, viene avviato al lavoro come manovale in forma avventizia presso muratori del luogo. Nel mese di maggio 1918, non ancora 18enne, viene chiamato alle armi, assegnato al corpo degli Alpini. Giunto al Reggimento, dopo un breve addestramento. Viene inviato al fronte, dimostrando subito ai suoi comandanti grande audacia, coraggio e sprezzo del pericolo, tanto che il ragazzo viene appunto subito trasferito ad una squadra di “Arditi”, sempre delle Fiamme Verdi del Corpo Alpini.
Gli “arditi” erano squadre composte da elementi specializzati in colpi di mano e a sorpresa nei riguardi di reparti nemici, quindi di soldati senza paura. Successivamente, con la sua squadra, partecipò a diverse azioni di guerra (anche all’arma bianca) fino al 2 novembre, allorquando (ne fa fede appunto la foto) fu il primo ad entrare in Rovereto. Da una testimonianza resa verbalmente da un nipote del nostro, risulta presente due giorni dopo (4 novembre), giorno dell’armistizio, nella città di Trento, festeggiato dagli abitanti di quella città liberata. Ma la vita grama del nostro non finì qui; anzi, cominciò da quel giorno una vera e propria odissea. Infatti con la sua squadra dal Trentino attraversò la Val di Sole fino al Passo del Tonale, entrato in Val Camonica raggiunse l’Aprica e da qui la Valtellina; con quale messo non è dato sapere (con ogni probabilità la sua squadra era composta da Camuni e Valtellinesi)
Di certo però, poiché lui stesso lo ebbe più volte a raccontare, per via delle Alpi Orobie (probabilmente dal Passo della Coronella) giunse a piedi in Valseriana, giungendo a Gandino circa un mese dopo, mendico, sporco, pezzente e “pié de piöcc”! Questo fu per lui il compenso di tanto ardire. Il dopoguerra non fu tanto roseo: epidemie (la Spagnola), lavoro scarso, specie per lui privo di una qualifica, tanto che per lavoro si recò a Torino. Rimase in quella città fino al 1926, quando il 24 aprile si unì in matrimonio con Rosa Spampatti di Gandino, che gli darà 4 figli, tre dei quali ancora viventi: Francesco (1927), Maria (1930) e Nelida (1938). Ma, sempre per lavoro, dovette abbandonare la famiglia recandosi in Liguria a Ventimiglia presso il confine francese.
Dopo la seconda guerra mondiale, finalmente, potè tornare al paese, assunto alle dipendenze del Comune di Gandino in qualità di operatore ecologico (spazzino), che manterrà fino alla pensione. A Gandino, chi è un po’ su di età, lo ricorda con la sua carretta, badile e ramazza a pulire le strade assieme al collega Battista Brignoli (detto Manì bruntulù). Meritevole di citazione un fatto per il quale si incazzava di brutto quando mostrava una profonda cicatrice sulla mano sinistra, per una ferita di taglio subita in un corpo a corpo da un pugnale nemico, si sentiva dire dal figlio: “Alà Tata, cünta mia sö de bale, e gliò a to se teat a irì fò üna scatoletta de carne”.
Nel 1969, assieme ad altri combattenti, gli è stata conferita la Croce di Cavaliere di Vittorio Veneto. Carmelo, in occasione delle manifestazioni patriottiche del 25 aprile e del 4 novembre, lo si notava sempre presente anche negli ultimi anni della sua vita (è morto nel 1983), malgrado fosse barcollante e malfermo sulle gambe, alzando in alto con orgoglio quel vessillo tricolore per il quale in età giovanissima aveva con onore combattuto. E vinto.

Autore: 

Giovanni Ongaro - Gion

Autore: 

webmaster
|