Così l'Eroe dei due mondi la riconobbe come città che più figli aveva dato all'Unità d'Italia Nel 1909 la sfilata degli ultimi garibaldini, nel maggio '60 la proclamazione di Città dei Mille
E rano nettamente la maggioranza, i bergamaschi, alla spedizione dei Mille. E in una sua lettera Giuseppe Garibaldi riconosceva che «Bergamo è la città italiana che con più figli ha gettato più terra sulla bilancia liberatrice».
Secondo una ricerca storica, a Bergamo indossarono la camicia rossa 56 tra operai e artigiani, 38 intellettuali (artisti, professionisti, impiegati), 41 possidenti e 28 militari. Bergamasca, oltretutto, era anche la leggendaria camicia rossa, confezionata e tinta a Gandino con uno «scarlatto» di cui era segreta la ricetta. Bergamasco era inoltre il più giovane dei Mille: si chiamava Stefano Primo, era trevigliese. A quattordici anni si calò da una finestra di casa e si recò a piedi a Milano per arruolarsi; uno zio prete lo riconobbe e lo rimandò a casa. Fuggì una seconda volta e raggiunse Marsala con i primi garibaldini.
Nel 1909, il 2 giugno - anniversario della morte di Garibaldi -, gli ultimi garibaldini sfilarono «in parata» a Bergamo.
Da una cronaca: «Bergamo era tutta un fiore: infiorati i negozi, infiorati poggioli e balconi, infiorate le signore; e le campane delle chiese a scampanare per tutta la giornata. Eccoli sfilare i superstiti, l'ultimo manipolo. Musica in testa e bandiere, sono saliti in Città Alta e hanno deposto una corona di fiori ai piedi del monumento all'Eroe in piazza Vecchia. Non pochi quelli che si sono dovuti aiutare con il bastone nella salita. Ormai stinte le camicie rosse…».
A rendere gli onori a quei prodi provvide in forma solenne il comandante dei carabinieri che, a cavallo, passò in rassegna il drappello, «feluca nera con piumetto rosso-azzurro, bottoni luccicanti come i galloni e le decorazioni». C'era schierato anche un reparto dell'esercito; e c'erano pure i pompieri, «rimasti impalati a lungo, orgogliosi dell'elmo».
Deposta la corona di fiori, suonati gli inni, esauriti i discorsi, gli ultimi garibaldini si sparpagliarono per Città Alta.
Da una cronaca: «Ai piedi della torre di Gomito un garibaldino rosso e bianco ha fatto la sua concione di supplemento, incitato a parlare anche da alcuni monelli. Così, un po' per la devozione all'eroe dei due mondi e un po' anche per qualche bicchiere di vino tracannato di troppo, il vecchio garibaldino ha continuato a parlare fino all'esaurimento».
Con questo po' po' di storia alle spalle, inevitabile che negli anni Sessanta Bergamo sia stata ufficialmente dichiarata «Città dei Mille». Un'onorificenza più che dovuta. E l'avvenimento fu solennemente festeggiato.
Dalle pagine di diario del sindaco Costantino «Tino» Simoncini: «3 maggio 1960: al teatro Donizetti l'orchestra e il coro della Rai hanno fatto un concerto di inni patriottici e di pezzi d'opera un tempo suscitatori di entusiasmo. Il teatro era gremito e nell'atmosfera vibrava veramente un calore di sentimenti. Applausi scroscianti, mazzi di garofani sotto i palchi, ambiente simpatico. Prima del concerto si sono fatti i fuochi d'artificio che hanno rintronato per mezz'ora sulla città».
Nell'occasione arrivò a Bergamo il presidente della Repubblica, che allora era Giovanni Gronchi.
«Alla stazione stringe la mano a me», si legge ancora nel diario del sindaco, «e a pochi altri; sale poi su un corteo di macchine e si reca in Prefettura. La gente è veramente numerosa al suo passaggio, malgrado le mie aspettative che erano piuttosto pessimistiche. Vi sono, è vero, tutte le scolaresche comandate, ma si notano anche numerosissimi cittadini. I saluti, gli applausi e gli "evviva" sono generali. Anche qualche fischio, a mio giudizio dovuto più ad esuberanza che a dileggio».
Aveva annotato sempre il sindaco dopo aver appreso la nomina di Bergamo a «Città dei Mille»: «A chi visita Bergamo, nella memoria si fissano non solo le ricordanze ormai lontane della Lega Lombarda e di Pontida, le glorie militari del Colleoni, ma anche quelle più recenti della rossa falange garibaldina: 180 uomini, un quinto della spedizione dei Mille, che nelle lontane contrade della Sicilia lottarono e morirono per affrettare uno degli eventi più significativi della storia universale dell'Ottocento: la nascita dello Stato unitario italiano».
Nessun dubbio in Simoncini: «Nota fuori dal nostro territorio come città operosa nel concorde travaglio del suo popolo, Bergamo appare allo straniero e al forestiero non solo come una rivelazione di bellezze ed uno scrigno di antica storia saldamente racchiuso nel cerchio delle sue mura poderose, ma anche come una città fiammeggiante per ideali patrii e civili, meravigliosamente vissuti e difesi».
Cristiano Gatti: «Fare di un tremendo puzzle geografico e culturale, qual era l'Italia di allora, un'unica e omogenea composizione. Il sogno si avverò lasciandoci pure qualche morto per strada».
Tutti quei bergamaschi in camicia rossa avevano seguito Garibaldi inseguendo un sogno. E quando Francesco Nullo entrò per primo a Palermo, la sua frase famosa fu: «So contét per Bèrghem!».
Naturale perciò che sia stato un giorno davvero memorabile quello della festa per Bergamo «Città dei Mille». Il 4 maggio 1960 peraltro non fu scelto a caso. Quel giorno infatti ricorreva il centenario della spedizione dei Mille.
A cent'anni dalla leggendaria impresa, davanti al presidente della Repubblica sfilarono quasi tutti i sindaci della Bergamasca; la città era tutta imbandierata e quel giorno fu anche inaugurato il rinnovato museo del Risorgimento in Rocca. Le varie cerimonie erano state precedute da un'altra giornata densa di avvenimenti. Oltre all'eccezionale concerto al «Donizetti», in municipio erano state ricevute le rappresentanze delle città benemerite del Risorgimento e di quelle decorate con medaglia d'oro; corone d'alloro erano state deposte ai monumenti di Garibaldi, Nullo e Cucchi, e la serata si era conclusa, come poi avvenuto anche all'indomani, con un fantasmagorico spettacolo pirotecnico.
La visita di Gronchi cadde inoltre a fagiolo per consegnare al presidente della Repubblica la cittadinanza onoraria di Bergamo. Sfogliando negli archivi, era tra l'altro emerso che Giovanni Gronchi era stato insegnante a Bergamo, presso la Scuola Tecnica di via Borfuro, nel 1912.
Renato Ravanelli
Secondo una ricerca storica, a Bergamo indossarono la camicia rossa 56 tra operai e artigiani, 38 intellettuali (artisti, professionisti, impiegati), 41 possidenti e 28 militari. Bergamasca, oltretutto, era anche la leggendaria camicia rossa, confezionata e tinta a Gandino con uno «scarlatto» di cui era segreta la ricetta. Bergamasco era inoltre il più giovane dei Mille: si chiamava Stefano Primo, era trevigliese. A quattordici anni si calò da una finestra di casa e si recò a piedi a Milano per arruolarsi; uno zio prete lo riconobbe e lo rimandò a casa. Fuggì una seconda volta e raggiunse Marsala con i primi garibaldini.
Nel 1909, il 2 giugno - anniversario della morte di Garibaldi -, gli ultimi garibaldini sfilarono «in parata» a Bergamo.
Da una cronaca: «Bergamo era tutta un fiore: infiorati i negozi, infiorati poggioli e balconi, infiorate le signore; e le campane delle chiese a scampanare per tutta la giornata. Eccoli sfilare i superstiti, l'ultimo manipolo. Musica in testa e bandiere, sono saliti in Città Alta e hanno deposto una corona di fiori ai piedi del monumento all'Eroe in piazza Vecchia. Non pochi quelli che si sono dovuti aiutare con il bastone nella salita. Ormai stinte le camicie rosse…».
A rendere gli onori a quei prodi provvide in forma solenne il comandante dei carabinieri che, a cavallo, passò in rassegna il drappello, «feluca nera con piumetto rosso-azzurro, bottoni luccicanti come i galloni e le decorazioni». C'era schierato anche un reparto dell'esercito; e c'erano pure i pompieri, «rimasti impalati a lungo, orgogliosi dell'elmo».
Deposta la corona di fiori, suonati gli inni, esauriti i discorsi, gli ultimi garibaldini si sparpagliarono per Città Alta.
Da una cronaca: «Ai piedi della torre di Gomito un garibaldino rosso e bianco ha fatto la sua concione di supplemento, incitato a parlare anche da alcuni monelli. Così, un po' per la devozione all'eroe dei due mondi e un po' anche per qualche bicchiere di vino tracannato di troppo, il vecchio garibaldino ha continuato a parlare fino all'esaurimento».
Con questo po' po' di storia alle spalle, inevitabile che negli anni Sessanta Bergamo sia stata ufficialmente dichiarata «Città dei Mille». Un'onorificenza più che dovuta. E l'avvenimento fu solennemente festeggiato.
Dalle pagine di diario del sindaco Costantino «Tino» Simoncini: «3 maggio 1960: al teatro Donizetti l'orchestra e il coro della Rai hanno fatto un concerto di inni patriottici e di pezzi d'opera un tempo suscitatori di entusiasmo. Il teatro era gremito e nell'atmosfera vibrava veramente un calore di sentimenti. Applausi scroscianti, mazzi di garofani sotto i palchi, ambiente simpatico. Prima del concerto si sono fatti i fuochi d'artificio che hanno rintronato per mezz'ora sulla città».
Nell'occasione arrivò a Bergamo il presidente della Repubblica, che allora era Giovanni Gronchi.
«Alla stazione stringe la mano a me», si legge ancora nel diario del sindaco, «e a pochi altri; sale poi su un corteo di macchine e si reca in Prefettura. La gente è veramente numerosa al suo passaggio, malgrado le mie aspettative che erano piuttosto pessimistiche. Vi sono, è vero, tutte le scolaresche comandate, ma si notano anche numerosissimi cittadini. I saluti, gli applausi e gli "evviva" sono generali. Anche qualche fischio, a mio giudizio dovuto più ad esuberanza che a dileggio».
Aveva annotato sempre il sindaco dopo aver appreso la nomina di Bergamo a «Città dei Mille»: «A chi visita Bergamo, nella memoria si fissano non solo le ricordanze ormai lontane della Lega Lombarda e di Pontida, le glorie militari del Colleoni, ma anche quelle più recenti della rossa falange garibaldina: 180 uomini, un quinto della spedizione dei Mille, che nelle lontane contrade della Sicilia lottarono e morirono per affrettare uno degli eventi più significativi della storia universale dell'Ottocento: la nascita dello Stato unitario italiano».
Nessun dubbio in Simoncini: «Nota fuori dal nostro territorio come città operosa nel concorde travaglio del suo popolo, Bergamo appare allo straniero e al forestiero non solo come una rivelazione di bellezze ed uno scrigno di antica storia saldamente racchiuso nel cerchio delle sue mura poderose, ma anche come una città fiammeggiante per ideali patrii e civili, meravigliosamente vissuti e difesi».
Cristiano Gatti: «Fare di un tremendo puzzle geografico e culturale, qual era l'Italia di allora, un'unica e omogenea composizione. Il sogno si avverò lasciandoci pure qualche morto per strada».
Tutti quei bergamaschi in camicia rossa avevano seguito Garibaldi inseguendo un sogno. E quando Francesco Nullo entrò per primo a Palermo, la sua frase famosa fu: «So contét per Bèrghem!».
Naturale perciò che sia stato un giorno davvero memorabile quello della festa per Bergamo «Città dei Mille». Il 4 maggio 1960 peraltro non fu scelto a caso. Quel giorno infatti ricorreva il centenario della spedizione dei Mille.
A cent'anni dalla leggendaria impresa, davanti al presidente della Repubblica sfilarono quasi tutti i sindaci della Bergamasca; la città era tutta imbandierata e quel giorno fu anche inaugurato il rinnovato museo del Risorgimento in Rocca. Le varie cerimonie erano state precedute da un'altra giornata densa di avvenimenti. Oltre all'eccezionale concerto al «Donizetti», in municipio erano state ricevute le rappresentanze delle città benemerite del Risorgimento e di quelle decorate con medaglia d'oro; corone d'alloro erano state deposte ai monumenti di Garibaldi, Nullo e Cucchi, e la serata si era conclusa, come poi avvenuto anche all'indomani, con un fantasmagorico spettacolo pirotecnico.
La visita di Gronchi cadde inoltre a fagiolo per consegnare al presidente della Repubblica la cittadinanza onoraria di Bergamo. Sfogliando negli archivi, era tra l'altro emerso che Giovanni Gronchi era stato insegnante a Bergamo, presso la Scuola Tecnica di via Borfuro, nel 1912.
Renato Ravanelli
Data di inserimento:
13-08-2005