Gandino al tempo delle greggi

Nel 1443 si contavano oltre 2.500 pecore, base dell'industria laniera

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14/03/2008
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Due immagini della mostra «Per filo e per segni» organizzata dalla Fondazione Bergamo nella storia in collaborazione con la Fondazione Legler e la Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo. La mostra propone immagini, protagonisti, macchinari, documenti, problematiche dello sviluppo industriale a partire dal Settecento
«Una crescita impressionante quella di Bergamo tra Seicento e Settecento, una crescita che si manifestò anche dal punto di vista demografico e che presto annullò gli effetti della peste del 1630. In quegli anni la vitalità di Bergamo si manifestò sia nel settore mercantile che in quello finanziario trainati dalla fiera di Sant'Alessandro, tra le principali d'Europa». Sono parole di Angelo Moioli, docente di storia economica all'università Statale di Milano, direttore del Centro interuniversitario di ricerca per la storia finanziaria d'Italia, pronunciate nella sala capitolare dell'ex convento di San Francesco in Città Alta nei giorni scorsi, in occasione della prima conferenza della serie legata alla mostra «Per filo e per segni» dedicata all'industria tessile bergamasca tra XIX e XXI secolo. La mostra si concluderà a fine giugno. Il ciclo di conferenze (la prossima è in programma mercoledì, sempre nel chiostro di San Francesco, alle 18), come ha spiegato Carlo Salvioni, è dedicato a Giorgio Milazzi, socio dell'associazione Amici del Museo storico di Bergamo. Giuseppe De Luca ha poi introdotto l'incontro condotto da Maria Mencaroni Zoppetti, presidente dell'Ateneo di Bergamo, dal titolo: «L'industria tessile bergamasca tra antico regime e modernità». Angelo Moioli ha inquadrato il periodo, ha posto in luce la vitalità dell'industria bergamasca, ha messo in evidenza come si trattasse di un'industria artigianale, decentrata, un'industria «necessaria» perché l'agricoltura bergamasca era povera, consentiva di mantenere la popolazione per non più di tre mesi all'anno. Quindi bisognava importare. E pagare. Questa situazione di bisogno certamente aguzzò l'ingegno. È poi intervenuto Pietro Gelmi, ricercatore della Val Gandino, che ha presentato il caso della sua valle che all'epoca era considerata in maniera più ampia rispetto a oggi, comprendendo anche Vertova e Gazzaniga, cioè la «Valle Seriana di Mezzo». La storia del tessile in Val Gandino è ricostruibile in base ai documenti a partire dal XIII secolo. Tutta la filiera si svolge nella valle, dalla lana della pecora bergamasca (a Gandino nel 1443 si contavano 2.544 pecore) al prodotto finale. Ma verso la fine del Quattrocento i panni della valle vengono soppiantati dalla produzione tedesca. Gandinesi e soci corrono ai ripari e cominciano a importare anche lana «straniera», più fine, morbida, da mescolare alla rude lana bergamasca. Emissari della valle, ha spiegato Geoffrey J. Pizzorni, ricercatore in Storia dell'Industria all'università Bicocca di Milano, girano l'Europa, partecipano alle fiere, a Gandino vengono «importati» anche maestri tedeschi che insegnano a tutti tecniche, modi di colorare, mode. Ha concluso gli interventi Riccardo Zavaritt, presidente nazionale degli industriali bottonieri, discendente da antica dinastia svizzera trasferitasi a Bergamo già alla fine del Settecento. Zavaritt ha ricordato la storia della sua famiglia, l'insediamento a Gorle dove acquistarono il palazzo di campagna del vescovo, confiscato da Napoleone. Zavaritt ha tuttavia messo in guardia: il tessile vive oggi una profonda crisi che non bisogna sottovalutare: anche oggi, come un tempo, vanno cercate delle risposte.

Autore: 

Paolo Aresi

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