«Famiglia e scuola tornino a motivare i giovani al lavoro»

Convegno a Gandino.
Per il giuslavorista Tiraboschi «occorre assecondare i figli verso le loro attitudini»
Venturini (Confindustria): più qualità, come in azienda

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Data pubblicazione: 

18/03/2016
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na fase del convegno di Gandino sul lavoro e i giovani

«Dobbiamo dare fiducia ai nostri giovani, far capire loro che prima si costruisce e poi di distribuisce quanto realizzato. Prima ci si mette insieme, si coltiva “la terra” e poi si raccolgono i frutti». Michele Tiraboschi, docente di Diritto del lavoro all’Università di Modena e giuslavorista presidente della Fondazione Marco Biagi, riannoda i fili del dibattito al convegno sul tema «Giovani e lavoro» - organizzato dall’Ufficio per la pastorale sociale della Diocesi di Bergamo e svoltosi ieri a Gandino nella sede di Radici Partecipazioni – e traccia la strada da seguire per sciogliere uno dei nodi più complessi che gravano sulla società: la disoccupazione giovanile che anche nella nostra provincia interessa un ragazzo su tre. Introdotto da don Cristiano Re, direttore dell’Ufficio per la pastorale sociale, Tiraboschi si riallaccia a quanto sottolineato da don Re, ricordando le parole di Papa Francesco («Il lavoro, a differenza della pigrizia, è una vocazione e la Chiesa ha un ruolo nell’incoraggiare e sostenere quanti, perdendo il lavoro, hanno perso anche la loro dignità»): «Se un giovane non trova opportunità e deve lasciare il suo territorio, la esortazione a vincere la pigrizia resta lettera morta. Il discorso vale anche per i cinquantenni che perdono occupazione – dice Tiraboschi –; siamo in una stagione in cui troppo spesso gli oggetti vengono usati e poi buttati, non esiste più l’arte manutenzione ».

Prospettiva diversa
«Cerchiamo allora - ha continuato il giuslavorista - di vedere le cose in una prospettiva diversa, che ci consenta di ragionare sotto vari punti di vista: cosa fanno lo Stato, il governo, per consentire l’accesso al bene comune del lavoro? Una volta esisteva il monopolio pubblico del collocamento, ora ci sono le politiche del lavoro, che si richiamano al quelle comunitarie. Ma non esiste solo il tema della legge. Siamo al paradosso in cui i giovani non trovano accesso a questo bene comune, scarso e maltrattato, mentre le imprese reclamano e non trovano persone con competenze e preparazione adeguate». «Come si accede al lavoro? Perché la risorsa è così scarsa e precaria in questo mondo globalizzato? Perché giovani sono i principali esclusi? - si chiede Tiraboschi, che si risponde – Il lavoro è come un terreno da coltivare e si può conquistare se dietro c’è una comunità che accompagna nelle scelte. È un incontro tra persone, un ricerca del proprio senso di mettere al servizio degli altri le proprie vocazioni. La scuola non dà più queste utili informazioni, e lo stesso vale anche per le famiglie. Occorre invece assecondare i propri figli sulle vocazioni, sui talenti e sui propri limiti. Educare vuol dire estrarre motivazioni e vocazioni. San Paolo ci invita a riconoscere i nostri talenti. Non importa quanti se ne hanno, l’importante è metterli in gioco».
Se «il primo passaggio è quello educativo», il secondo è che oggi, in un contesto dove «i lavori nascono e muoiono», bisogna «attrezzare i giovani a imparare a stare sul mercato, conoscere se stessi, ad abituarsi a un mondo del lavoro che cambia, a essere pronti non solo a cambiare azienda, ma anche mestiere, professione. Il che significa più ricchezza, esperienza. Occorre però una rete di protezione, una condivisione col territorio».

Il valore della testimonianza
Il terzo passo è la «testimonianza, non solo a parole. Inutile lamentarsi che giovani non trovano lavoro se prima noi non testimoniamo di avere piacere nel lavoro. È un invito ad essere un po’ tutti noi padroni del nostro destino, forti per reagire alle cadute. Ognuno può contribuire a rendere il mondo migliore, con occhi capaci di vedere gli altri, le loro necessità, le loro bellezze».
Un approccio al lavoro che è piaciuto a Guido Venturini, direttore di Confindustria Bergamo, che però sottolinea come all’interno delle aziende «ci sono l’orientamento e la misura dei risultati, la qualità, il merito inteso come contributo qualitativo; ci sono la lotta allo spreco, la partecipazione alla creazione di valore, l’orientamento al cliente. Ecco, questa “lista della spesa” l’abbiamo anche in famiglia, nella pubblica amministrazione, nell’università? Sono questi i valori che fanno parte delle società bergamasca, nazionale e internazionale? O c’è l’hanno solo le aziende? Perché se è così, non ci siamo, c’è distonia». Anche Venturini ha poi citato Papa Francesco: «Lui ha detto che occorre fare le cose insieme. È un concetto che in azienda c’è già. I grandi momenti di felicità dell’uomo non sono determinati, ma avvengono. Che cosa è invece determinato dall’uomo? Il suo lavoro: nel quale bisogna mettere il proprio contributo e coltivarlo. Questo il meccanismo da trasferire ai giovani. Perché la velocità di cambiamento del mondo è tale per cui non riusciamo a dare tutti gli strumenti. Possiamo solo cercare di essere dei maestri».

Mons. Nozza: «La persona resti sempre al centro»
«Abbiamo visto quanto siano importanti il senso del lavoro come vocazione, l’azione educativa, la condivisione, la testimonianza e l’accompagnamento dei giovani nella costruzione del loro futuro. Siamo in un tempo di grandi cambiamenti sul piano sociale, economico e culturale – ha sostenuto monsignor Vittorio Nozza, vicario episcopale per i laici e per la pastorale, nel suo intervento al convegno di Gandino – che ci verso un qualcosa che sarà molto diverso rispetto al passato.
Cambiamenti che riguardano una società sempre più multiculturale, con popolazioni intere che vengono da lontano, nei nostri territori, con migrazioni sempre più consistenti». In un mondo che cambia, un altro aspetto «riguarda il modo di intendere la materia stessa, con la tecnica che prevale sul rapporto di relazione. Il lavoro – prosegue Nozza - non è più realtà a se stante, nell’industria, artigianato, ma va messo in relazione con le diverse espressioni del territorio, dalla cultura alla finanza. In questo contesto, la Chiesa è chiamata a porre dei segni, che non risolvono i problemi ma che indicano percorsi e modalità di approccio al presente in termini di grande osservazione e ascolto dei bisogni. Paolo VI ha definito la Chiesa esperta in umanità, capace di stare vicino alla gente e di capire veramente le necessità. E in questi anni di crisi economica la Diocesi ha attivato due fondi (fondo famiglialavoro e fondo famiglia-casa) che hanno contribuito a sostenere persone e famiglie, che in tempo di crisi difficilmente avrebbero potuto altrimenti reggere».
Nozza pone poi l’accento su come, nel considerare il tema del lavoro «sia importante porre al centro la persona, sempre e comunque, nella sua dignità e capacità di creare legami all’interno del territorio » e di come l’uomo debba operare in modo «non distruttivo, con attenzione al rispetto per l’ambiente nel quale vive».

Autore: 

Andrea Iannotta

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