Elisabetta Ghelfenbein, ebrea, visse un anno nel convento delle Orsoline di GandinoPer proteggerla si disse che era una novizia
La storia di due donne, armate di fede e speranza, negli anni bui del nazifascismo.
Protagoniste, nella Bergamasca degli anni ’40, sono madre Dositea Bottani ed Elisabetta Ghelfenbein. La prima, segretaria dell’Istituto delle Suore Orsoline di Gandino (e oggi Serva di Dio per la causa di beatificazione in atto, che l’ accomuna a madre Gesuina Seghezzi, allora madre generale), la seconda, moglie di Ferruccio Galmozzi, primo sindaco di Bergamo del dopoguerra. Elisabetta, di origine ebraica, era nata ad Odessa (Russia) nel 1887 ed era arrivata in Italia nel 1905 per frequentare l’università, cosa impossibile per gli ebrei nella terra degli zar. Conobbe il marito a Torino, e dal loro matrimonio (1917) nacquero cinque figli. Pur essendosi convertita alla religione cattolica, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Elisabetta rischiava l’arresto, a causa delle leggi razziali e delle deportazioni di massa ordinate da nazisti e fascisti.
Dapprima la donna fu ospitata nella casa del parroco di Borgo Santa Caterina, don Benigno Carrara (in seguito vescovo di Imola), poi Ferruccio Galmozzi cercò un’alternativa più sicura. Essendo medico della Casa generalizia delle Orsoline, chiese aiuto alle suore per trovare un rifugio sicuro alla moglie. Come narrato in sintesi nella biografia della Serva di Dio madre Dositea Bottani («Un’anima e la sua storia» – Mario Benigni ed. Paoline 1991), la segretaria delle Orsoline e madre Gesuina Seghezzi decisero di rischiare nascondendo Elisabetta nella casa madre di Gandino, dopo aver ottenuto l’autorizzazione dal vescovo Bernareggi.
Ricordando i giorni di quella scelta coraggiosa, madre Dositea così scrisse in seguito al dottor Galmozzi: «Abbiamo pensato che Dio non può negare il suo aiuto ad un’opera così buona e, fidando unicamente nella sua Provvidenza, demmo risposta affermativa ». Il piano per nascondere Elisabetta a Gandino scattò il 3 dicembre 1943, con la diretta partecipazione di madre Dositea. Dopo essersi incontrate alla stazione di Bergamo, le due donne presero separatamente lo stesso treno verso Gazzaniga e da lì la corriera per Gandino, senza far notare che viaggiassero insieme. Nel centro storico di Gandino le due donne camminarono a distanza, con Elisabetta avanti qualche decina di metri ma incerta sulla localizzazione del convento.
Madre Dositea segnalò con un forte colpo di tosse il transito davanti al portone e finalmente si spalancano le porte della salvezza. «Madre Dositea affidò l’ospite alla superiora della casa – ricorda suor Melania Balini, memoria storica dell’Istituto oggi retto da madre Raffaella Pedrini – raccomandando il più assoluto silenzio sulla sua identità e lasciando credere che si trattasse di un’aspirante matura di età che passava un periodo di prova prima di abbracciare la vita religiosa ». Elisabetta visse appartata in un piccolo ambiente, mentre a Bergamo i familiari fecero circolare la voce che fosse riuscita a riparare in Svizzera.
Per più di un anno restò nel convento di Gandino, nei mesi in cui le famiglie del paese salvarono la vita ad altre decine di ebrei, ospitati nelle case, nelle cascine e nelle baite montane, al punto che qui lo Stato d’Israele ha riconosciuto ben sei Giusti fra le Nazioni. «Nessuna delle suore venne mai a sapere della vera identità – aggiunge suor Melania – anche se gli allarmi e i timori per qualche perquisizione non mancarono. Fugaci visite furono possibili solo a madre Dositea e al vescovo Bernareggi ». L’evolversi delle vicende belliche rese possibile il 7 dicembre del 1944 il ritorno in famiglia, ma nella casa di campagna a Foresto Sparso, dove minori erano i controlli e le possibilità di «colpi di coda» dei nazi-fascisti.
Dagli archivi emergono alcune lettere che madre Dositea ed Elisabetta si scambiarono, utilizzando semplicemente il termine sorella (consono alle suore), oppure quelli di «fratello e nipoti» se si accennava al marito Ferruccio e ai figli. Elisabetta Ghelfenbein morì improvvisamente nel 1950, pochi anni dopo aver ritrovato la piena libertà. Madre Dositea abbracciò Lisa in cielo nel 1970. Da allora le due amiche sono davvero inseparabili.