Cato: canto i profughi senza retorica. Abbraccio tra culture

Il disco. Il cantautore Roberto Picinali presenta il singolo «African Boys», colonna sonora ai festeggiamenti del 25° della cooperativa Ruah

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Data pubblicazione: 

09/10/2016
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Il cantautore Roberto Picinali (Cato)

Lo slogan del disco è diretto, chiaro: «+Love –Stress». Il singolo è in levare, musicalmente leggero, con un contenuto che arriva dritto al segno come una sassata. S’intitola «African Boys» e gira intorno al tema delle immigrazioni.
Del resto Roberto Picinali, Cato, di esperienza in materia ne ha: lavora come operatore presso una comunità di accoglienza e dunque conosce bene il problema. La canzone, in stile rootsreggae, fa da colonna sonora ai festeggiamenti della cooperativa bergamasca Ruah attiva da ben venticinque anni. Il videoclip è stato girato proprio nella comunità di accoglienza della cooperativa, complici i residenti stessi e le coinvolgenti coreografie dei Dynamite Crew. Cato ha composto la canzone raccogliendo testimonianze dirette di profughi e immigrati, ma si è tenuto lontano dalla retorica del dolore, regalando ad «African Boys» un’invidiabile solarità.
«Il logo del titolo l’ho coniato un paio d’anni fa – spiega Cato –, prima del viaggio che ho fatto sulla Via della seta. Mai come oggi siamo bombardati da notizie negative e allora il messaggio che voglio dare ai ragazzi e alle persone che mi seguono è quello di affrontare la realtà con serietà, vivendo però serenamente. Tanto le cose non cambiano se ti carichi di tensione o ti fai prendere dai cattivi pensieri. Se ti arrabbi per quel che dice la tv che cosa cambia? E poi quello slogan riassume un po’ il mio stile di vita: fare cose un poco fuori dagli schemi. In questo credo di essere una persona fortunata: dopo 22 anni su e giù dai palchi riesco in qualche modo a far collimare la passione con la vita privata. In Italia è ancora difficile vivere di sola musica, ma in questo disco mi sono divertito a collaborare con 25 amici artisti».

L’album è improntato al dialogo, alla multiculturalità. «Nel disco racconto la quotidianità con spirito un po’ scanzonato. Credo che abbiamo bisogno di leggerezza, ferma restando la visione sul mondo per quel che è. C’è una parte solare della musica, anche se amo abbracciare un po’ tutti i temi e gli stili». Inventivo sul piano della musica e della progettualità, Cato è uno che compra vecchie Cinquecento da trasformare in gioielli d’epoca, parte col suo Volkswagen Van per seguire le tracce di Marco Polo sulla via della seta, lancia slogan positivi e gioca dalle parti del reggae sul tema dell’integrazione. «La visione sull’interculturalità – dice – arriva dal fatto che ho viaggiato tanto per lavoro: facevo il tecnico commerciale per una multinazionale. Ho girato il mondo per dieci anni; in tutto credo di aver visitato settanta nazioni. A certi temi dunque sono vicino.
Da poco ho cominciato a collaborare con Ruah e sono entrato a contatto diretto con la realtà dell’emergenza Africa. Così ho deciso di raccontare a modo mio quello che vedo e sta succedendo. All’inizio ho pensato ad un libro, ma sono un cantautore, non mi veniva così naturale. Allora ho preso in mano la chitarra, è venuto il riff in levare, ho parlato con un centinaio di immigrati, e senza entrare nel dettaglio della vita di ognuno ho raccontato i “ragazzi africani”. Nel ritornello c’è tutto quello che voglio dire sul tema dell’abbraccio, dell’incontro tra uomini di culture diverse. La canzone è nata nel centro, con il contributo di tutti.

Anche il video del pezzo è nato lì con l’aiuto del mio amico Emiliano Perani alla regia. I videoclip li faccio sempre con lui. All’inizio volevamo realizzare una sorta di documentario sul tema, poi abbiamo desistito. Se ne vedono già troppi, tutti i giorni. Abbiamo optato per qualcosa che fosse in sintonia con l’assunto del disco “+Love –Stress”. Abbiamo registrato per un giorno intero quello che succedeva nel campo. Ed è nata una festa, in modo molto naturale. Quanto al viaggio l’ho affrontato per fare un’esperienza forte e rafforzare l’identità di Cato attraverso le passioni, la musica, i motori. In sei mesi facendo concerti e cercando sostenitori ho raccolto i soldi necessari per partire.
“The Silk Road” mi ha dato tantissimo: ho portato la mia musica dall’altra parte del mondo, ho raccolto fondi per Emergency, sono arrivato a Pechino e poi sono sceso sino ad Honk Kong per portare lo “straccetto della pace”. Un gesto simbolico. Abbiamo portato un segno di fratellanza da Gandino sin là, per 15mila chilometri. Il nuovo disco è nato in viaggio».

Autore: 

Ugo Bacci

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